giovedì 14 luglio 2016

17 Luglio 2016 – XVI Domenica del Tempo Ordinario

«Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola» (Lc 10,38-42).

Gesù in viaggio verso Gerusalemme si ferma dalle sue amiche Marta e Maria, sorelle di Lazzaro. A noi sembra un gesto normale, ma Gesù in realtà rompe con gli schemi convenzionali.
Prima di tutto perché va a casa di due donne e non vi sono uomini presenti! Il gesto a quel tempo non poteva che venire letto come dubbio, se non scandaloso, o provocatorio. 
Non si poteva incontrare una donna senza la presenza di un uomo. L’ambiente ebraico era fortemente maschilista, e le innegabili prepotenze cui venivano sottoposte le donne venivano giustificate come “volontà di Dio”. La donna era “impura” per definizione, era l’essenza del peccato.
La legge infatti proibiva alle donne di leggere la Torah, esse non potevano partecipare alle liturgie nella sinagoga o nel tempio, non potevano neppure frequentare le scuole.
Ma Gesù se ne infischia altamente di tutte queste regole assurde e stupide, tenute però in considerazione da tutti, uomini e donne, e va nella casa di queste due donne e parla loro proprio di Dio. Perché ogni volta che una legge è contro l’uomo, è contro Dio.
Quello di Gesù è un atto sovversivo: facendo così Egli vuole rovesciare un modo di pensare e di agire. Per questo i maschi del tempo e gli uomini della legge, quando lo vedevano agire così, lo consideravano un eretico. E per la legge in effetti, lo era! Come tale, infatti, come bestemmiatore e amico del diavolo, Egli fu condannato e ucciso! Fu condannato perché la sua esistenza era equivoca, dubbia, amorale, provocatoria, areligiosa. Ciò che è drammatico della sua esistenza è che Dio (il Figlio) è stato condannato come un non-Dio, come un anti-Dio.
Pensate poi cosa dovevano provare le donne, che finalmente si sentivano amate, rispettate, degne di esistere.
Gesù non fu l’uomo di pace che intendiamo noi. Noi siamo cresciuti con l’immagine del Gesù “buono e dolce”, di quello che non litiga mai, che appiana ogni contrasto, che non entra in conflitto. Le immaginette che una volta si vendevano lo presentavano con gli occhi azzurri e con la faccia angelica.
Nel vangelo Gesù non è assolutamente così. Gesù è un punto di rottura, un rivoluzionario, un uomo che rompe con schemi, idee e falsità. Non dobbiamo mai dimenticare che Egli fu ucciso non perché il suo messaggio era “buono”, ma perché era “nuovo”.
Leggendo il vangelo di oggi, immaginiamo che le cose siano andate in questo modo: Gesù arriva dal viaggio, è stanco fuori e soprattutto dentro. Marta si agita a preparargli da mangiare, a far sì che tutto sia in ordine, ad accoglierlo esternamente. Maria, invece, lo accoglie dentro: lo ascolta, ascolta il suo cuore, le sue difficoltà e le sue paure.
Nel tempo questo episodio è diventato un modello dell’ascolto della Parola e della priorità dell’essere rispetto al fare. Le parole di Gesù, che Maria ascolta e Marta no, sono diventate la Parola da ascoltare.
La scena si svolge fra tre personaggi: Marta, Maria e Gesù. Con in primo piano le loro reazioni.
Marta non è cattiva, anzi. È lei che accoglie Gesù. Il vangelo dice che lo “accoglie nella sua casa”. È un’espressione molto simbolica: gli vuole veramente bene e lo vuole per davvero accogliere nel suo cuore. Quell’uomo, Gesù, le è entrato dentro e lei lo porta, lo conserva, nella sua parte più intima (casa). Ma non è questo il punto. Il problema? È lei, Marta, che ha stabilito di cosa avesse bisogno Gesù.
Ora, qual è il primo bisogno di ogni persona? Ovvio, l’essere accolti.
Arrivando a casa noi tutti, adulti e bambini, abbiamo bisogno di essere festeggiati, accolti, coccolati; solo dopo, ci faremo le domande su come è andata, faremo i lavori di casa e ciò che c’è da fare.
Quando Gesù arriva in casa di Marta e Maria, di che cosa ha bisogno? Non ha bisogno di mangiare, di bere, di una casa pulita. Ha bisogno di essere accolto, abbracciato, rassicurato, ascoltato.
Marta è il modello di quelle persone che si distruggono dal lavorare. Di fronte ad una che è stanca dal lavoro fatto per noi, che ci ha preparato da mangiare, che ci ha sistemato la casa, che lava, che stira, come facciamo a chiederle qualcos’altro? Si può dirle qualcosa?
Molti papà e mamma si schermano dietro frasi del tipo: “Ho dato la mia vita per te! Ci ho rimesso la salute! Ho vissuto per te! Ho lavoravo anche sedici ore per portarti a casa il pane!”. Allora il figlio si sente in colpa; di fronte ad uno che dice così, cosa si può aggiungere? Cosa si può dire? Eppure, se guardiamo più in profondità, possiamo vedere che questo è un modo per non lasciarsi coinvolgere in altre cose. È un modo per giustificare il rifiuto di cambiare, di accettare altri impegni, un sistema per mettersi la coscienza a posto: “Ma come, con tutto quello che faccio?
Anche Marta si sentiva al sicuro: faceva tanto, è vero, ma non faceva quello che serviva a Gesù.
In realtà è Marta che ha un gran bisogno di essere riconosciuta e accettata da Gesù. Ma questo suo bisogno non le è chiaro, non lo riconosce, non lo esprime e così accusa Gesù e sua sorella.
Ha bisogno di fare bella figura con Gesù, in modo che lui possa dire: “Ma come sei brava! Ma che cibo squisito! Che bella casa! Ma quanto ti sei data da fare per me: grazie!”.
Quante volte ci comportiamo anche noi come Marta! Attacchiamo l’altro e accusiamo!
Perché è più facile accusare che manifestare i propri bisogni; è più facile colpire che mostrarsi vulnerabili e bisognosi.
Per Marta, Gesù deve sentirsi completamente a suo agio, deve trovare ogni confort, in modo da poter dire: “Che brava donna!”. Ma questo è il suo di bisogno, non quello di Gesù.
Marta ha già deciso da sola di cosa Gesù avesse bisogno. Ha le sue categorie in testa, i suoi schemi, e non si è minimamente posta nessuna alternativa. Lei aveva già deciso
Perché non l’ha chiesto a Gesù? Era così semplice! Invece no, si è data da fare come una forsennata per poi offendersi e sentirsi vittima, delusa, perché lui non l’ha riconosciuta.
E quando Gesù se ne sta con Maria, lei si sente offesa: “ma questo è il tuo di bisogno, cara Marta, non il suo. Sei tu che vorresti che tutto fosse in ordine, a posto, secondo le tue regole. Sei tu che vorresti essere riconosciuta da Gesù e fare bella figura con lui. Ma questo è solo il tuo bisogno”.
Spesso noi proiettiamo sugli altri i nostri desideri e poiché gli altri non li esaudiscono, ci arrabbiamo con loro. Ci sembrano cattivi, ci sentiamo offesi perché non hanno risposto alle nostre aspettative. Appunto, hanno fatto secondo le loro esigenze!
Dobbiamo imparare a riconoscere i nostri bisogni ed esprimerli. Dobbiamo imparare a riconoscere le nostre aspettative e a non proiettarle sugli altri, arrabbiandoci perché non vengono esaudite.
Gesù usa due parole per definire ciò che sta vivendo e facendo Marta: “merimnas” e “thoribaze”. “Merimnas” vuol dire “preoccuparsi” nel senso di affannarsi, di angustiarsi, di essere in pensiero: è l’ansia del fare. “Thoribaze” vuol dire agitarsi; “thoribos” è il tumulto, la confusione, il mormorio di voci dentro di noi.
I due verbi indicano il frullare dei pensieri, nella testa di Marta, che poi diventano azioni. È chiaro: arriva Gesù, è un personaggio importante, è una persona a cui Marta vuole bene. Vuole fare una gran bella figura e vuole sentirsi stimata da lui. Ma è preoccupata di deluderlo, di non essere come lui si aspetta. Allora fa’, fa’ e fa’, si agita e si dimena come un’ossessa. Allora emergono tutti i pensieri della mente: “Sarà contento? Sarà soddisfatto di essere stato qui con noi? Gli andrà bene quello che gli ho preparato da mangiare? Lo deluderò?”.
Quando si innesca questo meccanismo è la fine. Perché i pensieri diventano un ossessione che si ripete all’infinito. E finché non diciamo basta, tutto diventa possibile e pericoloso.
Marta e Maria non si parlano mai, non si dicono niente.
Perché Marta non è diretta con sua sorella? Perché non glielo dice in faccia? Perché mugugna di nascosto? Perché cerca di portare Gesù dalla sua parte, contro Maria? È qui che Marta sbaglia: deve invece parlare con lei, dirle ciò che non va! Trovare consensi dagli altri non fa che rinforzare in noi l’idea che siamo nel giusto, nella ragione, per cui l’altro è dalla parte del torto. Ma questo non risolve il problema.
Maria, al contrario, capisce di che cosa Gesù ha bisogno e lo ascolta. Maria non ha deciso prima, per conto suo, cosa doveva fare per Gesù. Lo ascolta quando arriva. Maria non dice una sola parola, si fa vuoto, spazio, perché Gesù possa entrare. Questa è l’ospitalità che tutti noi cerchiamo: trovare qualcuno con cui poter essere noi stessi, senza essere giudicati.
Il vangelo dice che Maria stava ai piedi di Gesù. Stare a contatto con i piedi, indica il suo atteggiamento di umiltà. Maria è lì, tutta per lui. E Gesù lo sente.
“Puoi stare qui; sono felice che tu sia qui; qui sei a casa; qui sei amato; qui puoi aprirti e farti vedere per quello che sei; puoi essere te stesso”. Questo è l’amore!
Trovare Maria è trovare uno spazio d’amore dove poter esprimere le proprie paure, le proprie angosce, le proprie aspettative, i propri bisogni, i propri amori, le proprie contraddizioni, le proprie ambiguità, i propri lati d’ombra; uno spazio dove piangere e dove ridere; uno spazio dove disperarsi ed essere abbracciati e accarezzati; uno spazio dove si è al sicuro, protetti, dove rifugiarsi e dove essere accolti. Questo è l’amore.
Allora, invece di “chiuderci” dentro di noi, apriamoci, costruiamo distese d’amore, diamoci da fare per ascoltare e accogliere l’altro, il bisognoso, l’ultimo, quello che è stanco: perché solo così il mondo sarà migliore. Di questo noi abbiamo bisogno. Poi verrà Marta con il lavoro, il cibo, le cose da fare, i problemi, le pulizie, il riordinare e quant’altro. Ma prima di tutto deve esserci Maria: questa è l’unica cosa di cui abbiamo veramente bisogno. Questo è l’essenziale, che non ci può essere tolto, altrimenti soffriamo e moriamo dentro. Amen.


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