giovedì 17 marzo 2016

20 Marzo 2016 – Domenica delle Palme

Passione di nostro Signore Gesù Cristo (Lc 22,14-23,56).

La liturgia di oggi ci presenta la storia della passione. Ogni evangelista offre un resoconto “personalizzato” di come si sono svolti i fatti; e ci chiediamo: c’era proprio bisogno di quattro storie “diverse” tra loro? In fin dei conti la Passione è unica. È vero; ma ciascun “cronista” ha “visto” i fatti con i propri occhi, e questo evento così traumatico ha “segnato” il loro cuore in maniera diversa. Abbiamo così uno stesso racconto, ma con sfumature diverse, con chiavi di lettura differenti: particolari che rendono il racconto della passione più che una fedele esposizione di un fatto storico, una raccolta di esperienze e di emozioni personali, con le quali ogni singolo autore ha voluto lasciarci di Gesù sofferente la sua immagine personale, quella che lui, nel riviverla nella sua memoria, ha descritto per noi.
Si tratta, ripeto, di lievi sfumature, di piccole sottolineature, che possiamo rilevare soltanto attraverso una lettura trasversale dei resoconti: annotazioni personalissime, quasi intime, ma di grande incisività, dalle quali possiamo sicuramente trarre interessanti considerazioni e utili suggerimenti per la nostra vita spirituale.
Accostiamoci allora umilmente alla lettura di questi testi: sicuramente anche questa volta, come ogni anno, essi ci suggeriranno cose nuove, apriranno il nostro cuore a nuove emozioni: ci parleranno sempre della passione di Gesù, ma in maniera diversa. Quest’anno forse avremo modo di identificarci meglio in un personaggio piuttosto che in un altro; ci colpiranno maggiormente espressioni che in passato non abbiamo colto, suscitando in noi sentimenti ed emozioni forse fino ad oggi sconosciute.
Partiamo per esempio dal racconto di Luca.
Per Luca Gesù è colui che perdona tutti. Egli addolcisce le figure dei vari personaggi: i discepoli rimangono fedeli a Gesù nelle prove; nel Getsemani infatti, essi si addormentano solo una volta e non tre come negli altri racconti, e il loro è un sonno di profonda tristezza; i nemici non presentano falsi testimoni; Pilato per ben tre volte tenta di liberarlo perché è innocente; il popolo è addolorato per ciò che succede e perfino uno dei due ladroni è fondamentalmente buono. In Luca Gesù si preoccupa di tutti: guarisce l’orecchio del servo durante l’arresto, si preoccupa per la sorte delle donne mentre sale sul Calvario, perdona i suoi crocifissori e promette il paradiso al ladrone pentito.
Per Marco, invece, Gesù è l’abbandonato. Tutti lo abbandonano, ma proprio tutti. I discepoli, dal monte degli Ulivi in poi, lo lasciano solo: mentre Gesù prega, per ben tre volte si addormentano; Pietro, riconosciuto come uno dei suoi discepoli, nega imprecando di conoscerlo; Giuda addirittura lo tradisce. Tutti fuggono: uno perfino lascia lì la veste pur di fuggire da Gesù. Romani e Giudei sono cinici: lo lasciano appeso alla croce sei ore e durante tutto questo periodo lo prendono in giro e lo deridono. Perfino quando Gesù, morendo, esclama: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, lo scherniscono. Tutti particolari che ci aiutano a superare momenti difficili quando ci sentiamo soli, quando tutti ci sono contro, quando crediamo di aver sbagliato tutto o addirittura di essere noi stessi sbagliati. Guardiamo Gesù e lo vediamo scoraggiato: perfino i suoi amici più cari, quelli più intimi, quelli con i quali aveva condiviso le gioie e le fatiche, quelli che avevano detto: “Noi, non ti abbandoneremo mai; noi ci saremo sempre per te; su di noi puoi contare”, perfino quelli, nel momento critico se ne sono andati. Perfino Dio, suo Padre, non gli parla più, è in silenzio, tace. Forse anche lui lo ha abbandonato? Forse Gesù ha davvero sbagliato tutto? Nessuno si schierò con Lui; nessuno prese le sue parti, nessuno si espose. Tutti ritennero più opportuno rimanerne fuori, non impicciarsi, non cercarsi rogne. Magari lo amavano; magari lo sentivano veramente come la loro vita, ma la paura li portò a negare i loro sentimenti d’amore.
Leggendo Marco possiamo renderci conto fino a che punto possiamo arrivare anche noi quando abbiamo paura: abbandoniamo tutto e tutti, tradiamo, neghiamo chi amiamo.
Ebbene, in questi momenti della vita pensiamo di aver sbagliato tutto; ci vien voglia addirittura di farla finita, di toglierci di mezzo; ci sentiamo soli, abbandonati e traditi. Ci sentiamo additati, ridicolizzati, presi in giro, beffeggiati e umiliati. È proprio allora che, guardando Lui che ha creduto sempre in ciò che sentiva dentro, dobbiamo credere anche noi in noi stessi, in ciò che abbiamo dentro, a tutti i costi. Alziamo gli occhi a Lui, e andiamo avanti con fiducia.
Matteo infine, che in parte ricalca Marco, si pone una grande domanda: chi è il colpevole della morte di Gesù? Per lui tutti, in qualche modo, contribuiscono alla morte del Signore: chi direttamente, chi indirettamente; chi agendo e chi non facendo nulla.
Giuda? Giuda s’impicca perché si rende conto di essere stato un burattino in mano ai sommi sacerdoti. Giuda è nient’altro che una insignificante pedina, mossa da imbroglioni e bari in una partita truccata. È un fantoccio che per denaro, per avidità, vende Gesù e, tutto sommato, vende se stesso. Poi schiacciato dal senso di colpa, non regge e si uccide. Altrettanti Giuda sono quegli adulti pronti a disfarsi di tutto ciò che hanno di più bello: lo fanno per il successo, per la carriera, per il denaro, per i soldi. Lavorano sempre, fanno una vita impossibile, una scalata rabbiosa pur di “ottenere”, di “avere”. Non si accorgono però che per i soldi stanno svendendo l’anima; non si accorgono che antepongono sempre qualcos’altro allo spirito, che ignorano le necessità dell’anima. Poi un bel giorno si svegliano e si accorgono di essere vuoti, insoddisfatti, senza nulla. Ma sono troppo deboli, la loro personalità è ormai troppo incancrenita per cambiare vita. Così si lasciano andare alla deriva, lasciano che il tempo passi inutilmente, nell’apatia e nell’indifferenza, finché un giorno, davanti alla morte, si accorgeranno che, purtroppo, la loro anima è morta già da tanto tempo!
Pietro? Pietro è l’uomo dei grandi entusiasmi: “Io non ti rinnegherò mai, Signore”. Fa grandi proclami, solenni dichiarazioni, ma poi la sua fermezza si scioglie come neve al sole: per ben tre volte tradirà il suo maestro e amico. Pietro sono tutti coloro che non conoscono se stessi: gente che si eccita all’idea di spaccare il mondo; che fa grandi proclami, che promette amore eterno, che giura eterna fedeltà: e forse in cuor loro ne sono anche convinti per davvero. Ma in loro c’è solo tanta, troppa, presunzione; o, più semplicemente, tantissima ignoranza: insomma non si conoscono; non sanno neppure cosa voglia dire “fedeltà”. Sono tutti coloro che si sposano e si giurano l’un l’altro amore eterno: ma poi? Sono tutti coloro che si accostano ai Sacramenti, che vanno a messa tutte le domeniche, pregando e garantendo che Gesù sarà sempre al centro della loro vita, che lo seguiranno in capo al mondo: ma poi? Sono quanti, dopo un incontro, un ritiro, un corso di approfondimento spirituale, giurano a Dio e a se stessi di cambiare vita sul serio: ma poi? Sono tutti quelli che, dopo le cadute, le infedeltà, promettono che non lo faranno più, che smetteranno, che saranno diversi: ma poi?...
Pilato? Pilato se ne lava le mani e con questo gesto crede di tirarsi fuori, di essere esente da ogni responsabilità. Sua moglie stessa lo aveva pregato di non avere a che fare con quell’uomo.
Pilato sono tutti quelli che dicono: “Io non c’entro”, e si credono a posto, si sentono tranquilli. Se c’è un problema a scuola, e non riguarda il loro figlio, se ne lavano le mani. Se c’è un problema in parrocchia o nel condominio dove vivono, ma non li riguarda direttamente, se ne lavano la mani. Di fronte a chi soffre, si tirano indietro:“cosa c’entro io? Ci pensino quelli che sono delegati e preposti a questo!”.
E la folla? La folla è “il popolo bue”, la gente che si lascia condizionare dall’ultima moda, dall’ultima tendenza. I sacerdoti e gli anziani li persuadono ad urlare: “Barabba”: e loro così fanno: lo fa uno a comando, e tutti lo seguono. La folla rappresenta tutte quelle persone che si lasciano condizionare, influenzare. Sono tutti quelli che non hanno un pensiero proprio, che vivono di frasi fatte, preconfezionate o di quanto sentono dire in giro. Sono quelli che non riescono a sostenere una posizione o un’idea. Sono tutte quelle persone che si bevono avidamente le ciarlatanate del politicante di turno: “Meno tasse per tutti; un milione di posti di lavoro; più occupazione; più benessere; più economia, salari più alti, ecc.”. Sono tutte quelle persone che credono stupidamente che tutto il mondo sia il Grande Fratello o l’Isola dei Famosi. Sono tutte quelle persone che impostano la vita correndo dietro all’ultimo prodotto, all’ultima tendenza, all’ultima stupidaggine, purché sia pubblicizzata come “novità”.
La folla non ha personalità: vive soltanto come “insieme”, non come “singolo”: nessuno di loro si sente direttamente responsabile della morte di Gesù, eppure sono proprio loro, tutti insieme, che lo hanno condannato a morte. In sostanza, il messaggio che i Vangeli lasciano trapelare è proprio questo: “Voi tutti siete colpevoli, direttamente o no, perché tutti, per paura o per interesse, l’avete tradito e non avete preso le sue parti”.
Gesù però, nella sua misericordia, perdona la folla: capisce e in qualche modo scagiona i suoi nemici: “non sanno quello che fanno!”. Si comportano così, cioè, perché vivono nel buio, nelle tenebre, nella totale cecità: se avessero avuto anche solo un barlume di razionalità, non avrebbero mai agito in questo modo. E questo vale sempre: la gente è cattiva non perché lo sia veramente, ma perché dentro è arrabbiata; la gente è nervosa, suscettibile, perché dentro è inquieta e non riesce a dar voce ai propri turbamenti interiori; la gente giudica e distrugge il prossimo, perché non conosce la misericordia, non conosce la tenerezza, non conosce l’amore; la gente disprezza gli altri e li umilia perché non sa leggere dentro il cuore umano.
Gesù li perdona non perché condivida ciò che fanno. Gesù li perdona perché sono ciechi, non ci vedono, scambiano il male per il bene e il bene per il male; credono di essere religiosi e invece vivono senza Dio; credono di rendere omaggio a Dio, ma uccidono quotidianamente suo Figlio; credono in chiunque stabilisca per loro una via da seguire, perché non hanno una coscienza propria; credono di sapere, ma vivono nell’ignoranza totale.
Quanta persone vivono così! Credono di essere libere e, invece, sono così condizionate che neppure se ne accorgono. Credono di essere i padroni della loro vita e invece sono solo spettatori degli eventi che passano. Dicono: “Io faccio la mia vita”, e non si accorgono che non sono loro gli artefici delle situazioni, ma sono le situazioni che li determinano. Credono di conoscersi, ma non sanno dire cosa sono; credono di conoscere Dio perché hanno letto qualche libro o visto qualche documentario o trasmissione, per cui bastano le chiacchiere di qualche pseudo esperto per metterli in confusione. Dio li perdonerà un giorno. Ma nessuno si giustifichi, perché è l’ignoranza, soprattutto quella “travestita” da sapere, che uccide, distrugge, umilia e compie le peggiori atrocità.

Meditiamo dunque queste considerazioni: in silenzio, nel silenzio del nostro cuore, leggiamo e ascoltiamoci. In silenzio, nel silenzio di chi sa di trovarsi di fronte alla vicenda del Figlio di Dio, ma anche alla vicenda di ogni uomo, lasciamo che queste parole ci entrino nell’anima. In silenzio, nel silenzio del nostro cuore, leggiamo questa vicenda e osserviamo con chi ciascuno di noi si pone, o in chi si riconosce. Amen.



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