mercoledì 18 novembre 2015

22 Novembre 2015 – Solennità di Gesù Cristo Re dell’universo

«Allora Pilato gli disse: Dunque tu sei re? Rispose Gesù: Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (Gv 18,33-37).

Oggi la chiesa celebra la festa di Cristo Re. Il vangelo di Giovanni ci propone una scena del processo di Gesù: dopo il suo arresto e la consegna da parte del sommo sacerdote Caifa alle autorità romane, Gesù risponde ad una serie di domande che gli vengono poste da Pilato.
Interessante è qui sottolineare un particolare: Gesù è legato, ma in effetti è l’unico libero: tutti quelli che lo giudicano, apparentemente “liberi”, non legati, sono invece imprigionati tutti dalle loro paure.
Le autorità religiose sono infatti legate dalla paura di perdere i loro privilegi, la loro posizione. Anna e Caifa, le autorità religiose, sono terrorizzati dal potere di Gesù e dalla sua libertà. Gesù è un uomo pericolosissimo perché fa ragionare perfino le guardie che vanno da lui per arrestarlo. Un uomo che fa ragionare le persone, un uomo libero, è pericoloso perché non è controllabile da niente e da nessuno. Ogni potere si fonda infatti sul fatto che chi sta sotto deve credere a chi sta sopra; e quando questo non succede più, il potere di chi sta sopra crolla. Perché se chi sta sotto inizia a ragionare, a pensare diversamente, a vedere le cose da un altro punto di vista, questo mina il potere di chi sta sopra. Per questo Gesù è da eliminare.
La massima vittoria del potere è smettere di far pensare autonomamente quelli che stanno sotto. Quando chi sta sotto è ubbidiente, un semplice esecutore di ordini, un burattino, allora chi sta sopra può fare tutto.
Anche Pietro, che seguiva Gesù da lontano, è legato dalla paura di scegliere, ha paura di schierarsi, di prender una posizione chiara, di stare dalla parte “di Gesù”. E in certe situazioni il non schierarsi è condannare la verità.
Pilato stesso è legato dalla paura dell’opinione altrui: i capi religiosi portano Gesù nel pretorio, la sede di Pilato, ma non entrano per non contaminarsi, dovendo mangiare la Pasqua (Gv 18,28). Pilato è un pagano e loro, da bravi credenti, non entrano in luogo pagano.
Giovanni mette in luce l’ipocrisia di questa gente: “Stanno per condannare Gesù ma non entrano nel pretorio per non contaminarsi!”. Sembra dirci: “Attenti a quelli troppo devoti, troppo pii, a quelli che hanno troppa fede!”: esibire troppa bontà, spesso rivela il contrario: l’assenza, la carenza totale di bontà.
Quando gli portano Gesù, Pilato dice loro: “Che accusa portate contro questo uomo?”. E loro si sentono subito offesi: “Se non fosse un malfattore non te l’avremmo consegnato” (Gv 18,30).
Le persone super-religiose non si sentono mai in discussione: gli altri sbagliano, gli altri fanno male, gli altri sono cattivi, ma loro mai. Questi infatti vanno da Pilato e gli fanno capire a chiare lettere: “Noi l’abbiamo già condannato!”. Loro non possono sbagliare, loro sanno.
C’è un modo di ragionare talvolta così arrogante, come in questo caso, che invece di contribuire a farci cambiare opinione, a farci rivedere il nostro parere, a farci evolvere, a farci ricredere, in una parola invece di aiutare a “convertirci”, contribuisce solo a rinforzare in noi la presunzione di stare nel giusto.
Allora Pilato dice loro: “Prendetelo e giudicatelo secondo la vostra legge(Gv 18,31). Pilato ricorda a questa gente che non si può accusare qualcuno senza prima averlo ascoltato. E questi gli rispondono: “A noi non è consentito di mettere a morte nessuno” (Gv 18,31-32). Eccoli qua! Non portano Gesù da lui per processarlo ma per ammazzarlo. “A noi non è permesso mettere a morte nessuno!”. Per ottenere da Pilato il verdetto di morte, lo ricattano minacciandolo di inadempienza nell’esercizio della giustizia. Una falsa accusa che, se riferita a Cesare, poteva compromettere la sua posizione: e questo lo induce ad accogliere la loro richiesta.
Prima però, e da questo punto inizia il vangelo di oggi, Pilato entra nel pretorio, chiama Gesù e gli dice: “Tu sei il re dei Giudei?” (Gv 18,33). Pilato sa già che i capi religiosi accusano Gesù di essere un rivoluzionario.
Ma Gesù ama tutti, anche Pilato: per questo gli chiede di ragionare con la sua testa: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?”. Cioè : “Sei tu che lo pensi o sono gli altri che pensano in te? Ti fai influenzare dagli altri?”. E Pilato di contro: “Sono forse io Giudeo!”. Cioè: “Non sono giudeo! Io non penso come la tua gente”. Ed è vero: non pensa come loro ma si lascerà condizionare dal loro giudizio. Pilato può liberare Gesù, ma ha paura di quello che potrà pensare e fare la gente.
L’unico uomo che ha realmente potere, Pilato, è l’uomo più legato e imprigionato.
E qui c’è una frase tremenda: “La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me: che cosa hai fatto?” (Gv 18,35). Gesù portava un Dio diverso, un Dio nuovo. Per questo era pericoloso. Il vangelo, la buona novella, non è stata rifiutata perché era buona ma perché era nuova. Le persone preferivano credere al vecchio (anche se era disumano) piuttosto che accettare il nuovo cambiamento e la nuova immagine di Dio.
Allora Gesù chiarisce le cose: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù” (Gv 18,36).
Cosa gli dice Gesù? “Il mio regno non ha nulla a che vedere con i regni di quaggiù. I regni di quaggiù hanno soldati, servitori e armi; e i potenti si fanno servire. Ma nel mio regno più uno è potente, grande, e più lui si mette a servire, non a farsi servire”. Nel regno umano la gente chiede: “Cosa fai tu per me?”. In quello divino: “Cosa posso fare io per te?”.
Nel regno umano: “Mi ami? Mi vuoi bene? Perché non me lo dici mai?”. In quello divino: “Io ti amo; ti voglio bene; io ci sarò sempre per te; e tu potrai venire sempre da me!”.
Nel regno umano: “Mi aiuti? Perché non mi aiuti?”. In quello divino: “In cosa ti posso essere di aiuto?”. Nel regno umano: “Non ci sei mai! Mi trascuri!”. In quello divino: “Esci con me? Mi piacerebbe invitarti a mangiare con me. Ti va?”. Nel regno umano: “Tu non mi hai mai dato nulla”. In quello divino: “Sento quanto mi ami; riconosco il tuo aiuto; grazie per tutto quello che hai fatto per me; ti sarò sempre riconoscente”.
Nel regno umano la gente chiede, pretende, vuole e si aspetta dagli altri. Nel regno divino, invece, la gente si propone, si offre e si mette a servizio.
Allora Pilato gli dice: “Dunque tu sei re?” (Gv 18,37). E Gesù: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce” (Gv 18,37). Gesù è il re della verità, ma di quale verità? La verità di Dio.
Gesù manifesta la verità di Dio: Dio non è colui che chiede, che vuole, che s’indigna o s’arrabbia, ma colui che si mette in ginocchio davanti agli uomini e lava loro i piedi. Dio non chiede, Dio dona. Dio non vuole l’amore, Egli viene a portare il suo.
Questo era inaccettabile per i religiosi del tempo: se l’uomo è amato da Dio, loro, i sacerdoti e le autorità del Tempio, a cosa servono? Se l’uomo ha libero accesso all’amore di Dio, perché andare al Tempio per il perdono dei peccati? Se Dio ti ama al di là di tutto, perché rispettare tutte le 613 regole religiose? Se è Dio che ama, a che serve il culto?
Tutto questo non poteva essere accettato dalle autorità religiose del tempo perché scardinava alla base le loro strutture, perché in questo modo loro perdevano di senso. Per questo Gesù deve essere ucciso.
Gesù dice: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,37). Noi avremmo detto il contrario: “chi ascolta la voce di Gesù è nella verità”. Cosa vuol dire esattamente Gesù? Verità (aletheia) vuol dire “togliere il velo”. La verità è quella cosa che ognuno deve scoprire da solo: deve tirare su il velo e vedere cosa nasconde sotto. Magari non è come lui pensava, magari non è come voleva, magari lo costringe a cambiare vita, magari lo sconvolge, magari è difficile da accettare, magari è dolorosa. Ma è la verità.
Per ascoltare Gesù, bisogna avere questa capacità, essere disponibili a non mettere “filtri”, a non anteporre continuamente le nostre vedute alla verità.
Per ascoltare Gesù, portatore di verità, dobbiamo avere il coraggio di affrontare la verità, di essere pronti cioè a scoprire, a vedere, ad affrontare ciò che si cela dietro la nostra facciata di perbenismo, qualunque cosa essa nasconda. Altrimenti di Gesù accetteremo solo ciò che vorremo accettare, solo ciò che ci piacerà o ciò che è conforme alle nostre idee.
E Pilato chiede: “Che cos’è la verità?” (Gv 18,38). A lui non interessa nulla della verità: cerca solo di menar il can per l’aia. E se ne lava le mani. Pilato non accetta la verità; egli agisce seguendo il suo credo: delle verità giudee, a lui non interessa proprio nulla. Per due volte dice: “Io non trovo in lui nessuna colpa” (Gv 18,38; 19,6) e cerca di liberarlo (Gv 19,12). Un paradosso: Lui, che non vuole sapere, che non vuole “aprirsi”, Lui conosce perfettamente la verità: Gesù è innocente. Ma la sua cecità, la sua ignavia, il suo tornaconto, avranno il sopravvento su di lui: si arrenderà, se ne fregherà della verità, e lo consegnerà in mano ai Giudei.
Ebbene: cosa ci dice oggi questo vangelo? Che Gesù fu un uomo libero: e che se vogliamo essere felici, dobbiamo essere “liberi” anche noi.
Per molte persone, banalmente, la libertà consiste nel fare ciò che vogliono, nel seguire i propri istinti, nell’ignorare la volontà degli altri; è “libero” chi mostra i muscoli, chi esibisce la sua forza, chi è franco e dice le cose in faccia: ma tutto questo, scusate, non vuol dire essere “liberi”; vuol dire semplicemente essere aggressivi. Questa gente non è libera: ma giustifica il proprio comportamento, la propria forza, la propria “pseudo sincerità”, la propria franchezza, solo per legittimarsi, per essere cioè “liberi” di ferire il prossimo, di comportarsi come meglio crede: ma questa non è libertà, è sopraffazione!
Per il vangelo, libertà è vivere nella verità: “La verità vi farà liberi” (Gv 8,32). Ciò significa che noi diventeremo liberi solo se scopriremo chi siamo realmente, solo facendo verità su di noi stessi. La libertà è un cammino, è un processo dinamico. E più diventeremo liberi, più diventeremo sovrani, re, padroni della nostra vita. Ogni verità, che scopriremo dentro di noi, ci renderà sempre più liberi; e ogni libertà ci renderà sempre più felici.
Amen.

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