venerdì 2 gennaio 2015

4 Gennaio 2015 – II Domenica dopo Natale

«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,1-18).
Il Vangelo di Giovanni e la Bibbia iniziano entrambi con la stessa parola: “in principio”. Ma con una differenza: mentre nella Genesi leggiamo: “In principio (in ebraico berescit) fu creato il cielo e la terra”, al contrario Giovanni dice: “In principio (in greco en arché) c’era il Verbo!”. Punto. Quindi il Verbo, la Parola, esiste da sempre, precede tutto e tutti. Ma cos’è esattamente questo Verbo, questo Logos eterno? Il termine greco, Logos, significa sia Parola (Dio) che Progetto. Possiamo quindi tradurre anche con: “All'inizio c'era un Progetto”. In altre parole, prima di creare ogni cosa, Dio nella sua mente aveva un progetto, un'idea: sapeva cioè, già nei minimi particolari, come realizzare ogni singolo elemento del creato. Non è meraviglioso? Certamente, soprattutto se pensiamo a noi creature, alle nostre persone, al fatto che ci troviamo qui, in questa nostra vita, calati in un determinato habitat: noi, singole persone, non siamo qui per caso, ma solo ed esclusivamente perché rientriamo nel progetto iniziale, elaborato da Dio, per ciascun uomo. La nostra vita è sbocciata in funzione di questo progetto divino: Dio ci ha pensati e voluti, perché in qualche modo ha bisogno di noi per completare il suo progetto. Un fatto questo che implica per noi una enorme responsabilità. Non possiamo rimanere indifferenti. Dobbiamo dargli assolutamente una mano. Non gli altri, ma proprio noi. Qui e ora.
Nell’Antico Testamento le “Dieci Parole” di Dio si identificavano con i dieci comandamenti: ma nel Vangelo Gesù dice: “No, prima di qualunque obbligo, prima di qualunque parola, c'è la Parola”. In un istante, con una precisazione, Egli la Parola, ridimensiona le antiche parole: “Vi do un comandamento nuovo (=kainos), amatevi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Sintomatico che Giovanni abbia usato qui, per indicare questa novità, il termine greco kainos: si tratta cioè di una novità assolutamente rivoluzionaria, un comandamento – quello dell’amore - che non si pone come aggiunta a quelli già esistenti (in tal caso avrebbe usato neos) ma che sconvolge, annulla, tutti gli obblighi precedenti; una novità che stravolge i valori di una legge millenaria.
Ricordate cosa dicevano i Dieci Comandamenti? “Io sono il Signore tuo Dio... non avrai altri dèi all'infuori di me... Non pronuncerai il nome di Dio invano... Ricordati di santificare i giorni del Signore ecc...”. Ebbene, Gesù non dice nulla di tutto questo. Dice semplicemente: “Se amate veramente Dio, lo si vede non dalle vostre preghiere o da quello che dite di fare per Dio, ma da quello che realmente fate per gli altri uomini”. Dio neppure viene nominato da Gesù. È chiaro a questo punto perché Gesù è stato ucciso: perché in un attimo ha annullato una tradizione che per millenni si preoccupava più dell’apparire che dell’essere, dell’avere piuttosto che del dare. Come potevano accettare questa rivoluzione, ad esempio, coloro che avevano dedicato tutta la loro vita ad opprimere, ad annientare, a distruggere gli altri? In un attimo tutta la loro vita crollava, falliva, non aveva più alcun senso: potevano forse accettare una cosa del genere?
Egli era in principio presso Dio, e tutto è stato fatto per mezzo di Lui…”. Una ripetizione che sottolinea l’importanza del progetto iniziale di Dio. Tutto è stato fatto per volontà divina: un concetto che va ribadito. Anche per noi: “Tu ci sei per volontà di Dio. Magari i tuoi genitori non ti volevano... magari la gente ora ti rifiuta e ti respinge... magari tu stesso non ti vuoi e ti fai schifo... ma Dio ti vuole e ha un progetto ben preciso su di te, ha bisogno di te, per questo ti ha creato”.
Lui (cioè nel Logos-Progetto) era la vita e la vita era la luce degli uomini”. Eccolo finalmente il progetto: è la Vita; è avere ed essere Vita. Questa è la caratteristica prima degli uomini. Non per nulla in Giovanni il termine “vita” (zoè) appare ben 37 volte.
Dio ci ha fatto un dono: la vita. Il dono che noi dobbiamo fare a Dio è di vivere questo dono. Lui vuole solo questo. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza”.
Dobbiamo cioè essere uomini interamente di Dio. Prima di Gesù gli “uomini di Dio” erano gli uomini di preghiera, quelli che si mortificavano, quelli che rinunciavano al mondo, quelli che conducevano una ferrea vita ascetica. Ma dopo Gesù gli “uomini di Dio” sono i “vivi”, quelli che hanno la vita e la vivono, che sanno piangere, indignarsi, commuoversi, emozionarsi, che provano amore, misericordia, che si innamorano, che hanno slanci, che sanno stupirsi: perché più un uomo è vivo, più trasmette vita agli altri, e più è pieno di Dio.
Ecco allora, finalmente chiaro, il perché del nostro essere qui. Il perché Dio ci ha voluti in questo particolare contesto. Semplicemente perché dobbiamo “vivere”.
Questo è il messaggio del Natale: un bambino che nasce, una vita che sboccia.
È vero: nella vita, a voler essere buoni, c’è anche il rischio di passare per sentimentali, sciocchi, ingenui: se amiamo c’è il rischio di non venire corrisposti, se viviamo intensamente corriamo il pericolo di morire, se speriamo troppo c’è il rischio della disperazione; qualunque cosa ci proponiamo di fare, c'è sempre il rischio di fallire. Ma se vogliamo vivere, dobbiamo affrontare i rischi, perché il rischio più grande nella vita, è proprio quello di non rischiare nulla. Chi non rischia nulla, è un nulla, diventa un nulla. Può evitare la sofferenza, l'angoscia, è vero, ma non potrà mai imparare a sentire, a cambiare, a progredire, ad amare, a vivere. Incatenato alle sue certezze, è schiavo. Ha rinunciato alla libertà. Solo colui che rischia è veramente libero. La vita è il dono che Dio ci fa: una vita vissuta in pieno è il nostro dono a Lui. Una vita sprecata è il peccato.
Allora cosa aspettiamo a vivere? Non diamo anni alla nostra vita, ma diamo vita ai nostri anni.
L'uomo che vive (= che ha accolto la luce), è colui che, accettato il progetto di Dio (=la vita), si apre, risplende, brilla. Le tenebre odiano la luce, non la vogliono: sono i “morti”, quelli “senza vita”, che vivono chiusi, inflessibili, freddi, autoritari, senza un cuore caldo. Dovrebbero portare la luce e invece preferiscono le tenebre: il potere, l’orgoglio, la superiorità, la mancanza d'amore, la rigidità, ecc. E non capiscono che le tenebre non possono conoscere Dio.
Anch’essi sono creature di Dio, “divine”, impregnate di Dio: ma si sono, come dire, dimenticate di chi sono veramente, hanno rinunciato alla loro dignità, si sono dimenticate di avere l'impronta di Dio, di essere a sua immagine, e vivono senza potersi riconoscere, senza poterlo riconoscere più. Che tristezza: essere re e vivere da schiavi!
Venne fra la sua gente ma i suoi non l'hanno accolto”. È una denuncia terribile. Chi non accoglie la vita e non la fa vivere, uccide Dio, che è Vita!
L'esame che Gesù fa al nostro cuore, non è più sui comandamenti, ma sulla vita: “Sei vivo? Ti lasci vincere dalla paura? Sei bloccato dal timore del giudizio? Come mai la tua vitalità è frenata? Cos'è che blocca la tua creatività e la tua fantasia? Ti commuovi? Sai gioire delle gioie degli altri? Sai entusiasmarti, appassionarti?”.
A quanti l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio”. Chi lo ha accolto? È incredibile come nei vangeli quelli che l’hanno accolto siano stati proprio i più lontani da Lui; quelli invece che erano i più vicini alla religione, che frequentavano il tempio, si sono rivelati i più ostili, i più contrari ad accoglierlo.
Ecco perché dobbiamo fare nostro il progetto di Dio: solo accogliendo la sua “Parola”, il “Progetto” che Lui ha pensato per ciascuno di noi, potremo “Diventare figli di Dio”.
In passato ci hanno insegnato che lo scopo della vita è soprattutto quello di “servire” Dio, di diventare suoi “servi”: Dio è il padrone, noi i servi. Meglio ubbidirgli perché, se non stiamo attenti, nella sua potenza può punirci con l’inferno o con qualche altro tremendo castigo già in questa vita.
Ma noi non siamo i servi di Dio; siamo piuttosto i serviti da Dio. È Dio che serve l'uomo, non più l'uomo che serve Dio. Dio non ci chiede preghiere, servizi, fioretti per lui: è Lui che è venuto su questa terra per mettersi amorevolmente e completamente al nostro servizio. Dimostrare la nostra fede in Lui, non consiste più nel fare qualcosa per Lui, ma accogliere tutto quello che Lui fa per noi. “Non sono venuto per essere servito ma per servire(Mt 20,28).
Non siamo figli di Dio per nascita, per diritto, o perché apparteniamo ad una determinata élite: dobbiamo invece diventarlo, dobbiamo cioè meritarlo, esserne degni. Come? Amando gli altri. Non con parole, non con esibizioni, non con promesse, ma solo ed esclusivamente con l'amore.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”; letteralmente, piantò la sua tenda in mezzo a noi. Dio non è più nel tempio tra i sacerdoti, ma nella tenda in mezzo al popolo.
È una teologia “trasgressiva” questa di Giovanni: Dio non è più soltanto nelle chiese, nei luoghi di culto, ma “in mezzo” al popolo. Dio non è più fermo, fisso, ma in continuo cammino insieme alla sua gente. Meglio: Dio non è più un luogo ma un tempo: nell'esatto momento in cui c'è l'amore, lì c'è Dio. L'amore è Dio, e viene da Dio: “chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”.
Quando la gente parla di Dio, dice tutto e il contrario di tutto. Invece solo amando come ha amato Gesù noi possiamo vedere e capire Dio: “Chi vede me vede il Padre”. Dio non è lontano da noi; Dio è qui. Impariamo a vederlo.
Il vangelo del resto è molto chiaro e ci fornisce il criterio valido per poter fare le nostre scelte: se Dio è come Gesù, noi che cerchiamo di conoscerlo, dobbiamo guardare, dobbiamo imitare, dobbiamo diventare come Gesù. Tutto ciò che non è Gesù, non è Dio, e non ci porta né a vederlo, né a conoscerlo.
Tante nostre forme di religiosità non vengono da Dio perché non le troviamo in Gesù, non gli appartengono. Egli è semplicemente “pieno di grazia e di verità”, cioè “pieno di amore vero”. Questa è la caratteristica di Dio: Lui ama di un amore fedele, di un amore che non tradisce, che non si vendica, che rimane sempre: anche se noi cerchiamo di allontanarci da Lui, anche se noi lo tradiamo.
Ancora oggi molti temono di aver perso l'amore di Dio, di aver fatto qualcosa di irreparabile nei suoi confronti, di essere indegni di Lui...: smettiamola! Lui non è così! Dio è più grande del nostro cuore! Lui continua a rimanere al nostro fianco, Lui è fedele, per sempre! Se non lo vediamo, dipende solo da noi, dalla nostra carenza di amore. Ricordiamocelo bene. Amen.

 

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