giovedì 31 luglio 2014

3 Agosto 2014 – XVIII Domenica del Tempo Ordinario

«Dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla» (Mt 14,13-21).
Di fronte al pericolo di morte per mano di Erode, che lo credeva il Battista redivivo, Gesù scappa in un luogo deserto, ma la gente, affrontando disagi e difficoltà, lo segue. Gesù dona libertà e amore: le persone lo sanno e per questo lo seguono dovunque. Non si può non seguire chi ti ridà il comando della tua vita! Ma un luogo deserto è pur sempre deserto. Gesù vede questa folla affaticata e ne ha compassione (in greco: “ha viscere di madre”); passa in mezzo a loro guarendo i malati per tutto il giorno; ma giunta la sera i discepoli si pongono un problema: come e dove può andare a mangiare tutta quella gente? E lo fanno presente a Gesù: il quale, alla loro preoccupazione, risponde con una frase ambigua: “Date voi stessi da mangiare”. Parole che, a ben vedere, contengono un significato che va oltre l’evidenza del momento: in realtà Gesù non fa altro che anticipare quello che poi avverrà. Ma non allude solo alla distribuzione materiale del cibo: con l’invito di “sfamare” loro stessi tutta quella gente, Egli li invita a donare loro stessi, a mettersi cioè completamente a disposizione del prossimo, a donare carità e amore, perché questo è l’unico alimento che dà vita .
Possiamo infatti donare agli altri tutto quello che di materiale abbiamo: tutti nostri averi, i nostri soldi, i nostri servizi; ma l’unico vero, autentico dono, è dare noi stessi, il nostro amore, la nostra disponibilità, la nostra generosità, assicurando loro insomma l’esserci, il nostro essere lì, sempre presenti. Ci sono persone “generose” infatti che donano agli altri di tutto, l’inimmaginabile, ma esse rimangono sempre lontane, distaccate, in una parola non “si danno”.
Fare invece di noi stessi un dono per i fratelli, è ciò che dà il vero senso alla nostra vita; la rende utile, significativa, dona energie profonde a chi è in difficoltà, consentendogli di affrontare ciò che è duro, ostile. Una vita non donata, risparmiata, trattenuta, distaccata, è una vita sprecata.
Ma torniamo al racconto del vangelo: Gesù dunque, fatta accomodare la folla, si trova davanti ad una miseria di cibo: cinque pani e due pesci, per sfamare una quantità di oltre cinquemila persone, fanno ridere, sono davvero un niente. Ma non è il caso di scoraggiarsi, insegna Gesù: ciò che da solo sembra poco, se messo insieme (a Lui), diventa molto, anzi moltissimo, diventa più che sufficiente per tutti. Il poco, se è condiviso, se è messo in “comunione”, diventa sempre tanto. Verità sacrosanta!
Ma da questo vangelo possiamo trarre anche altri insegnamenti pratici, concreti.
Prima di tutto ci dice che ogni impresa, piccola o grande che sia, inizia da poco, da niente (cinque pani e due pesci!). Dobbiamo solo fidarci di noi e di Gesù, Vita per eccellenza. I grandi fondatori, i grandi santi, hanno iniziato la loro missione da poco, partendo da zero, nella solitudine più completa: poi le loro opere si sono affermate e moltiplicate in tutto il mondo. Hanno avuto fede nella iniziativa divina: invece noi quante volte abbiamo paura, rimaniamo paralizzati, ci ritraiamo di fronte a ciò che dovremmo fare! Anche solo guardare avanti, proporsi di seguire qualche buona ispirazione, al delinearsi di qualche minima difficoltà, ci scoraggiamo immediatamente, ci perdiamo d’animo, ci blocchiamo, andiamo in tilt e rinunciamo a tutto. Purtroppo il nostro dramma è che guardiamo sempre ciò che siamo nel presente, e non consideriamo mai ciò che invece possiamo diventare. È come avere a disposizione una piccola quantità di grano. Che ce ne facciamo di tanto poco? Giusto la farina per impastare un po’ di pane: veramente poco, un nulla. Ma se noi quei pochi chicchi li seminiamo, ben presto ci troveremo di fronte un’altra realtà, toccheremo cioè con mano come da poco, da nulla, si possa ottenere tantissimo! Ecco: questa è anche la realtà della nostra vita; noi non siamo soltanto ciò che siamo, ma siamo soprattutto ciò che possiamo diventare: esattamente come un chicco di grano può diventare una grossa spiga.
Altro insegnamento: più si condivide e più le cose si moltiplicano (è questo il senso della “moltiplicazione”). Più si mette insieme e più i miracoli si avverano. Se ognuno fa la sua parte, l’impossibile diventa possibile. Pensiamo per un attimo alle “maratone” televisive di Telethon o di quando si raccolgono fondi per far fronte ad improvvise calamità nazionali: un euro a testa e si raccolgono milioni di euro. Oppure più semplicemente pensiamo a quel che succede quando organizziamo una cena tra amici, e ciascuno deve portare qualcosa: c’è da mangiare sempre per tutti e quello che avanza è sempre in grande quantità.
Lo stesso vale per le persone: pensiamo infatti alle tantissime risorse personali disponibili nelle nostre comunità: c’è chi ha capacità organizzative, chi ha spazi a disposizione, chi sa lavorare manualmente, chi è più preparato culturalmente, chi sa lavorare con il computer, chi sa parlare, insegnare: riusciamo a immaginare cosa succederebbe se tutti mettessero realmente a disposizione degli altri le proprie risorse, le proprie esperienze, ciò che ognuno sa fare? Veri miracoli. Ebbene: poiché la società del benessere tende a dividerci sempre più, a privatizzarci, a singolarizzarci per ridurci senza forza, noi al contrario dobbiamo sempre più unirci, metterci insieme, aiutarci, condividere, mettere a disposizione degli altri ciò che personalmente siamo e possiamo offrire. Perché è così che possiamo veramente compiere veri miracoli: perché la condivisione di idee genera la moltiplicazione di soluzioni; la condivisione delle nostre capacità genera la moltiplicazione delle iniziative; la condivisione dei sentimenti genera la moltiplicazione della pace. Quante volte invece sentiamo dire: “Non lo fanno gli altri, perché devo farlo io”. Beh, forse per qualcuno può essere anche giustificabile, ma se continuiamo a ragionare così, non si arriverà mai a nulla.
Infine un ultimo insegnamento del vangelo di oggi: prendiamo atto di ciò che siamo e ringraziamo Dio. Se accettiamo umilmente ciò che siamo, siamo già sulla buona strada, perché da lì parte la nostra trasformazione.
Ogni domenica a Messa, sentiamo ricordare i gesti e le parole del vangelo di oggi: “prese i pani, rese grazie e li distribuì”. Ma l’importante è capire che ogni domenica, in chiesa, noi non prendiamo solo il pane eucaristico, ma prendiamo nelle nostre mani anche la nostra vita così com’è, e dobbiamo ringraziare Dio per questo grande dono.
Capita spesso invece che, guardando alla nostra vita, ne rimaniamo delusi: “Non sono proprio nulla! Cosa posso pretendere da me?”. Praticamente non accettiamo di vederci chiamati a condividere i nostri cinque pani e due pesci, con gli altri cinquemila fratelli; non accettiamo di venire sollecitati magari dall’esempio degli altri, da quanto fanno i nostri vicini, i nostri amici, tutti quelli che frequentano la nostra parrocchia, in una parola tutte le persone che vivono con fede la loro chiamata. Allora giustifichiamo la nostra inattività con i confronti: “Io non ho il loro talento, non ho la forza, non ho la loro volontà, la simpatia, la cultura; non ho la loro esperienza, la fantasia, il dinamismo, le loro qualità...”. In pratica ci nascondiamo dietro un dito; giustifichiamo le nostre paure, evidenziando le qualità che riconosciamo negli altri e non in noi stessi. Alla fine però, il vero vincente non è colui che si ferma a guardare gli altri, ma colui che, prendendo coscienza delle proprie potenzialità, impegna seriamente i propri carismi, le proprie forze, costruendo la vittoria con i fatti e non con le buone intenzioni.
Allora, invece di lamentarci, pensiamo piuttosto a cosa potrebbe succedere se accettassimo quel poco che siamo, se cominciassimo seriamente a benedirlo, a valorizzarlo, a metterlo a frutto. Impariamo sul serio a valorizzare e ad amare ciò che siamo! E ringraziamo comunque Dio!
Anche i discepoli non credevano nelle loro possibilità: di fronte a quella folla e all’invito di Gesù di sfamarla con la miseria che avevano tra le mani, sicuramente si saranno messi a ridere; o avranno pensato: “Ma dai, Gesù, non prendiamoci in giro!”. Ma poi… conosciamo il finale! Ebbene, pensiamo seriamente a quello che succede ancora oggi, ogni volta che andiamo a Messa: Gesù ripete lo stesso miracolo della “moltiplicazione”, trasforma la sostanza di quel pane, che è ben poca cosa, nel suo Corpo, e lo divide fra tutti. Un niente che diventa “Tutto per tutti”. E non basta: oltre al pane, Gesù trasforma anche noi, uno per uno, singolarmente: perché, assumendolo, Egli ci tocca dentro, ci scuote, ci commuove: basta saperlo ascoltare; il suo è un tocco d’Amore che ci cambia il cuore, ci travolge l’anima, ci impedisce di essere quelli di prima, ci guarisce, ci risana; insomma ci fa diventare “nuovi”, radicalmente diversi.
E se crediamo, allora ci accorgeremo che quel niente, quel nulla che siamo, con Lui diventa ogni volta davvero tantissimo, una immensità! Amen.

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