venerdì 10 gennaio 2014

12 Gennaio 2014 – Battesimo del Signore

«Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui» (Mt 3, 13-17).
Oggi il Vangelo ci parla del Battesimo di Gesù: egli parte dalla Galilea per raggiungere le acque del Giordano e farsi battezzare dal Battista: questi però è riluttante a farlo, in quanto vede in Lui quel “più forte di me”, in grado di battezzare non solo nell’acqua ma “in Spirito Santo e fuoco”, come Matteo ci dice nei versetti immediatamente precedenti al testo di oggi.
Sono parole molto chiare e programmatiche, in quanto rivelano la necessità per il cristiano di sottoporsi a un duplice battesimo: uno d’acqua e uno di “Spirito Santo e fuoco”.
Cosa vuol dire: vuol dire che con il battesimo d'acqua noi “nasciamo in Cristo”, iniziamo cioè il nostro percorso di sequela; siamo abilitati a fare la nostra corsa, a combattere la nostra “buona battaglia”. Ma è con il secondo, con il battesimo di fuoco, che noi diventiamo veramente “figli di Dio”: è il superamento della prova che ci saggerà come “oro nel crogiuolo”, trasformandoci in “olocausto” a Dio, rendendoci graditi a Lui; in altre parole significa che soltanto testimoniando con il nostro comportamento, con la nostra vita, ciò in cui crediamo, dimostreremo di essere fedeli fino in fondo a quel Qualcuno che ci appassiona dentro. Un battesimo, questo, chiaramente determinante e irrinunciabile, pur essendo in assoluto anche il più difficile.
È noto infatti come la “chiamata” (il battesimo d'acqua) dei grandi personaggi della Bibbia, sia stata sempre accompagnata da prove, da percorsi difficili, duri, faticosi, nei quali Dio ha forgiato e purificato il suo prediletto. Lo stesso Gesù ce ne indica l’importanza e la necessità: all’inizio della sua predicazione Egli infatti si “immerge nel Giordano”, scende cioè in quelle acque, che rappresentano il collettore di tutte le nefandezze umane: con questa doppia sottolineatura (il nome Giordano, yared, vuol dire appunto immergersi) viene sottolineata la Sua consapevole decisione, per il pieno adempimento del Suo mandato, di calarsi in una situazione di particolare sofferenza; di “immergersi” cioè nella fatica, nelle contrarietà, nelle pene, nelle incomprensioni di questo genere umano, talmente a lui ostile, da cercare di ucciderlo fin dai primi giorni della sua nascita.
Ora, con il nostro battesimo d’acqua, noi siamo diventati cristiani. Siamo stati cioè “generati” alla fede, aggregati alla Chiesa di Cristo. Ma non è questo il punto determinante, il traguardo finale. Abbiamo appena superato il casello di ingresso dell’autostrada che conduce alla piena figliolanza con Dio. La strada è tutta da percorrere. Non enfatizziamo troppo questo nostro battesimo d'acqua, questo inizio; non illudiamoci di aver assolto con esso ogni nostro “dovere” di credenti. Il vero battesimo, quello che ci rende cristiani a tutti gli effetti, è quello di fuoco: è, cioè, quella rinascita interiore, quel rigenerarci, quel ricostruirci che ci rende esattamente ciò che Dio si aspetta da noi; è insomma quel rispondere con la vita vissuta alla sua chiamata individuale, quella chiamata “formale” che Lui ci ha rivolto con il battesimo d’acqua.
Significa, in altre parole, passare dalla teoria alla pratica, dal poter essere cristiani, all’esserlo realmente, nella pratica; un passaggio che può avvenire soltanto attraverso il “fuoco”.
Non per nulla la radice della parola ebraica “fuoco” (a-sc) è presente in ebraico sia nella parola uomo (a-i-sc) che donna (a-sc-ha). Per diventare noi stessi, quindi, non importa se siamo uomini o donne, dobbiamo necessariamente passare attraverso il “fuoco”, attraverso il “battesimo dello Spirito”.
Gesù è molto chiaro in proposito: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso. C'è un “battesimo” che devo ricevere; e come sarò angosciato, finché non sarà compiuto. Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, la divisione...”. “Non sono venuto a portare la pace ma una spada...”.
Il nostro vero battesimo, pertanto, coincide con una nostra vita forgiata attraverso le difficoltà, il nostro costruirci spiritualmente, il nostro personalissimo rispondere con i fatti alla chiamata di Dio.
Smettiamola quindi di pensare che, per il semplice fatto di essere battezzati, siamo automaticamente cristiani. Quando le inchieste ci documentano che il 95% degli italiani sono cristiani, affermano il falso. Il 95% degli italiani sarà stato anche battezzato con l'acqua, ma per essere veri cristiani quello che serve è il battesimo del “fuoco”, è diventare “immagine” di Dio. E non possiamo certo riconoscerci in tali percentuali.
La gente è ancora convinta che seguire Gesù sia una cosa semplice, tranquilla, automatica. Basta appunto essere battezzati, fare qualche pratica religiosa, andare ogni tanto a messa, dire qualche preghiera, e il gioco è fatto. Nossignori: seguire Gesù significa “fuoco”. È quella passione che corrode, che ci brucia dentro, che non ci fa stare zitti di fronte al male, alle ingiustizie; che non ci fa assistere indifferenti ad una società che uccide l'anima degli uomini; a genitori irresponsabili che trattano i loro figli come delle marionette, dei burattini, disinteressandosi di impartire loro una benché minima formazione morale. “Fuoco” è quella passione che ci spinge ad uscire, ad esporci, a non essere concilianti con chi oltraggia impunemente Dio e la sua legge, con chi cerca di sovvertire i suoi precetti morali. Potremmo benissimo starcene in disparte e farci gli affari nostri (“non tocca mica a me!”); invece no. Quel “fuoco” ci costringe a rispondere d’istinto, a metterci in gioco, rischiando in prima persona.
Passare attraverso il “fuoco” significa anche purificarsi, bruciare tutto ciò che di impuro c'è dentro di noi; significa renderci conto che noi, e non gli altri, siamo invidiosi, siamo in continua competizione, siamo tremendamente gelosi. Che noi, e non gli altri, siamo incapaci di amare: perché vogliamo solo possedere, gestire, manipolare. Che noi, e non gli altri, abbiamo bisogno dell'umiltà per cambiare, per crescere, per migliorare e trasformarci.
Non è facile cambiare, amici miei. Non è piacevole vedere certe cose dentro di noi. Per questo seguire Gesù è e sarà sempre difficile, impegnativo; un lavorio costante, senza interruzioni. E questo non è affatto una cosa facile, di poco conto! È certo una esperienza entusiasmante, passionale, che ci dà la sensazione di vivere in piena libertà, che ci fa capire che la nostra vita ha finalmente un senso: ma vi assicuro, non è una impresa facile. Un santo vescovo soleva dire: “Pensavo che la mia vita fosse la dimostrazione di una fede forte; invece era solo una buona salute, con una discreta faccia tosta”.
La parola greca baptizein (yared in ebraico) corrisponde, come ho detto, al nostro immergersi, entrare dentro. Un significato con due sfumature: la prima è “entrare dentro nel sociale”, immergersi nelle esigenze del prossimo, rispondere alle loro chiamate di vita, calarsi insomma in un particolare contesto storico. Quante persone, in questo senso, non hanno “fuoco”, non hanno anima, non hanno niente dentro di sé. Trascinano stancamente, giorno dopo giorno, l'inutilità di una vita che progressivamente si spegne nella routine delle solite cose. Non si sono “immersi”, non hanno superato il “battesimo di fuoco”, non hanno dato cioè una impronta propositiva alla loro vita, mettendola a beneficio della collettività. “Fuoco”, in questo senso, significa proprio “solidarietà”: ciò che succede agli altri ci deve interpellare direttamente, esige una nostra immediata risposta del tipo: “Io ci sono. Io ti aiuto. Io mi metterò dalla tua parte”. Solidarietà vuol dire: "Io ho un cuore che pulsa, che ama, che si appassiona. Non posso rimanere indifferente di fronte a quanto di male ti succede. Io sono al tuo fianco!”
La seconda sfumatura di “immergersi” è “scendere dentro di noi”, entrare nella nostra anima, individuare i nostri demoni, conoscerli, sfidarli, batterli.
Tutti abbiamo dei demoni con i quali fare i conti: l’odio, l’invidia, i complessi opposti di inferiorità o di superiorità, la rabbia, la gelosia, l’ansia distruttiva; un cuore freddo, gelido, dominato dalla paura folle dei sentimenti e delle emozioni, ecc… Tutti dobbiamo passare di lì, tutti dobbiamo immergerci nel nostro Giordano per confrontarci con essi. Perché fino a quando non li avremo affrontati e “bruciati”, saranno loro a dominarci.
Vivere nel divino, essere grandi, non è essere perfetti, aver vissuto senza macchia; ma aver percorso con fatica il proprio “battesimo di fuoco”, individuando quelli che sono i nostri demoni e sconfiggendoli; non è essere infallibili, ma avere l'umiltà di riconoscerci peccatori e rimediare ai nostri errori; non è andare avanti sempre e comunque per la stessa strada, ma avere il coraggio di fermarci, ed eventualmente di cambiare direzione. Dio non ci ama perché siamo perfetti: Dio ci ama perché siamo come siamo. Figli suoi.
Un altro elemento del vangelo di oggi, che ci fa meditare, è infatti quella voce che esclama: “Tu sei il mio figlio prediletto”. È il Padre che parla, e Gesù a quelle parole si sente amato, si sente protetto, si sente al sicuro con Lui.
Ebbene, sono parole che valgono anche per tutti noi. Sono rivolte a tutti; perché tutti siamo i figli di Dio, amati e prediletti. Quella stessa voce dice a ciascuno di noi: “Tu sei l’amato... sei il mio figlio prediletto... sei grande ai miei occhi... non ti lascerò... sei importante per me... non ti abbandonerò... non mi devi raggiungere: sono già tuo... tutto ciò che esiste l'ho fatto per te... sei sempre nei miei pensieri... per quanto tu vada lontano io rimarrò sempre tuo padre e tua madre, e tu sarai sempre mio figlio...”. Certo, se credessimo veramente a queste parole, nulla potrebbe più farci paura. Non avremmo più nulla da temere.
Noi abbiamo imparato sulla nostra pelle che nulla si ottiene gratuitamente dalla vita: l’amore, l’amicizia, l’ammirazione, l’approvazione degli altri, sono tutte cose che vanno meritate, che si ottengono soltanto se si eccelle, se si è bravi.
Ma con Dio non è così. Dio non ci ama perché siamo bravi, Dio ci ama perché “siamo noi”. Punto.
Il problema grosso è che noi non riusciamo a capire così tanto amore; non capiamo e non accettiamo di farci amare così gratuitamente, per sua iniziativa. Non è lui che non ci accetta, siamo noi che non accettiamo di essere il niente che siamo. Siamo convinti al contrario di aver fatto molto, di essere “molto in alto”; avanziamo delle pretese, pensiamo di essere sempre in credito nei suoi confronti e quindi pretendiamo. “Lui deve” amarci, “Lui deve” ricambiare con l’amore. Noi lo pretendiamo il suo amore, perché ci “spetta” in cambio dei nostri meriti. Ma quali meriti? Certo, è proprio difficile lasciarci amare come Dio ci ama! Noi riusciamo sempre a rovinare tutto, anche l’amore più vero: non riusciamo a capacitarci che Lui ci ami di un amore incondizionato, di un amore fedele, di un amore perenne, di un amore gratuito e disinteressato, per il quale non dobbiamo pagare nulla, per il quale non abbiamo alcuna cambiale in scadenza. Sì, è difficile per noi capire la vera portata di tutto questo, è difficile perché sovrasta decisamente i limiti della nostra piccola mente umana.
Allora pensiamoci ogni tanto: pensiamo che noi, con tutte le nostre miserie, noi che a volte siamo proprio uno schifo, proprio noi siamo i figli prediletti di Dio. Perché in conclusione questa è la verità: Dio è nostro Padre, noi siamo suoi figli, e per questo egli ci ama. Amen.


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