venerdì 30 agosto 2013

1 Settembre 2013 – XXII Domenica del Tempo Ordinario

«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te… Invece va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,1.7-14).
Per l’insegnamento di oggi Gesù trae lo spunto dalla vita vissuta, dal comportamento normale della gente: nello specifico, da come si comportano in genere gli invitati ad un pranzo di nozze. Non appena si apre la sala del banchetto, si assiste ad un balzo collettivo in avanti per la conquista dei primi posti, quelli più in vista, quelli più vicini agli sposi, quelli normalmente riservati alle persone che contano: ovviamente, lo scopo è quello di mettersi in evidenza, di dimostrare agli altri commensali la propria superiorità, la propria familiarità con gli sposi; una volta occupato questo posto prestigioso, poi, si guardano bene dal cederlo; salvo poi – in presenza di qualche invitato veramente importante -  su invito del padrone di casa, subire l’umiliazione di dover arretrare agli ultimi posti, tra lo scherno e la commiserazione dei presenti.
Quante volte sarà capitato anche a noi di notare una cosa del genere! Un comportamento quasi irrazionale, un bisogno irresistibile, vitale, quello dell’apparire, quello del dimostrare agli altri il proprio prestigio: una mentalità che fin dall’infanzia ci viene inculcata dalla società consumistica e arrivista in cui viviamo. La nostra società in particolare è una società illusoria, menzognera: fin da piccoli ci spinge a inseguire sogni impossibili, irrealizzabili, a rivestirci di panni che non sono nostri, a raggiungere posizioni per noi sproporzionate, nelle quali non potremo mai essere noi stessi.
Gesù nota questa tendenza umana, e la stigmatizza: del resto, se vogliamo a tutti i costi posizionarci ai primi posti senza averne i requisiti, per pura ambizione, dimostriamo di non essere obiettivi con noi stessi, di non apprezzare la posizione che ci compete naturalmente; dimostriamo di vivere una realtà, una dimensione, che non è la nostra; dimostriamo di non amare la nostra vita vera, di non capire quello che effettivamente siamo e rappresentiamo nella società. Dimostriamo insomma una grande immaturità, che è sistematicamente causa di una profonda infelicità.
Vale allora la pena di spendere una vita intera alla ricerca continua di false illusioni? Struggersi in un costante logorio interiore, nella rabbia e nell’invidia per quanti sono più fortunati, più in alto di noi? Ricordiamoci che nella vita ognuno ha ricevuto dei precisi “talenti”, e ciascuno è tenuto a farli fruttare sapientemente, con ogni cura possibile; ma sarebbe stupido quel tale che, avendone avuti due soltanto, pretendesse risultati pari o maggiori di coloro che ne hanno ricevuti cento. Sarebbe doppiamente un perdente: per non aver apprezzato il suo massimo risultato personale, e per la frustrazione e la delusione continua di non poter raggiungere un traguardo per lui comunque irraggiungibile.
Ognuno rivela il suo carattere con i fatti. Per capire chi abbiamo di fronte, per capire chi egli sia, cosa consideri importante, e soprattutto cosa pensi e cosa conservi dentro, è sufficiente guardarlo come parla, cosa dice, come si muove, come si relaziona, come si comporta.
Legare la nostra felicità semplicemente al sentirci superiori agli altri, al saperci più ricchi, al vederci più ammirati, è solo inutile narcisismo. È solo apparire, è pura immagine. Inseguiamo un fantasioso surrogato di noi stessi, perché in realtà, dentro di noi, ci sentiamo delle nullità.
Il dramma, purtroppo, è che nessun travestimento, nessun apparire, nessuna immagine esteriore, per quanto grandiosa, può farci felici. Non lo può per definizione. Perché la felicità nasce solo dalla nostra vita concreta, dalla sensazione meravigliosa di essere vivi, dal godere di questa nostra vitalità, dal percepire i sentimenti, le emozioni che vivono dentro il nostro cuore. Al contrario, più l'immagine che inseguiamo è grande e ambiziosa, più la vitalità e i nostri sentimenti interiori ci appaiono sfocati, scontornati, eliminati, distrutti. E la nostra vita si ridurrà prima o poi ad un completo fallimento.
Allora che fare? Come dobbiamo reagire? Semplice: dobbiamo imparare a raggiungere già in questa vita il “Regno dei cieli” evangelico. È in questo che dobbiamo convogliare tutte le nostre energie. Ma in che cosa consiste esattamente questo “regno dei cieli”? Qual è il segreto di quella gioia autentica, di quella felicità senza fine, di quell’amore senza confini, per indicarci i quali Gesù si è incarnato, ha vissuto su questa terra ed è morto sulla croce?
Nulla di impossibile, nulla di incomprensibile, nulla che non sia alla nostra portata.
Regno dei cieli, oltre che sentire le sensazioni più intime, le vibrazioni più personali del nostro cuore che riflette l’amore di Dio, è provare anche la paura, l'angoscia, la tristezza: perché esse ci rendono umili e vicini a tutti gli uomini nostri fratelli. Regno dei cieli è sentire e soffrire per l'ingiustizia e per la falsità della gente. Regno dei cieli è percepire l'amore che danza dentro di noi e che trasmettiamo in quanti incontriamo. Regno dei cieli è avere gli occhi pieni di luce perché dentro abbiamo la Luce. Regno dei cieli sono gli occhi pieni di passione di chi ci ama, occhi che ci penetrano e che raggiungono l'anima. Regno dei cieli è dispensare amore, affetto e presenza ai più bisognosi. Regno dei cieli è non perdere mai la nostra dignità anche quando ci capita di sbagliare. Regno dei cieli è poter guardare il prossimo senza giudicare, poter toccare senza prendere, poter ammirare senza voler possedere. Regno dei cieli è sentirsi vivi, così vivi da sentire completamente piena e traboccante la nostra vita; così vivi da poter anche morire soddisfatti, perché abbiamo vissuto abbastanza, seminando in questo mondo sincerità, speranza e amore. Regno dei cieli è poter ammirare l’innocenza di un bambino, l'eccitazione nei suoi occhi quando vede la mamma, o quando salta di gioia godendo del suo amore. Regno dei cieli è sentirsi noi tra le braccia del Padre, ed essere certi che lì, tutto sommato, non c’è proprio nulla da temere. Regno dei cieli è smettere di preoccuparci per cose inutili e anche per quelle utili. Regno dei cieli è sentirci parte importante ed essenziale di questo mondo; sentirci come si sente un figlio, parte integrante di una vera famiglia, voluto, benedetto, aspettato, da un padre e da una madre.
Tutto questo è normalità. Quando nasciamo, tutto questo lo conosciamo già. È invece crescendo che la società ci insegna ad abbandonare questo “regno dei cieli”. La maggior parte della gente crede che tutto ciò sia solo una grande “balla”, frottole per bambini, illusioni per preti e squilibrati.
Lo sapeva anche Gesù: tant’è che solo in pochi credettero al suo Regno dei cieli. Però quei pochi che gli credettero e lo sperimentarono, lasciarono tutto quello che avevano per seguirlo, e non furono mai più gli stessi. Gli altri, quelli che non gli credettero, lo uccisero perché era un “eretico”, uno che diceva falsità, che illudeva la povera gente.
«Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». È proprio così.
Per chi cerca sempre e solo di salire in alto, per sentirsi superiore agli altri, “umiliarsi” è una esperienza terribile, improponibile. Umiliarsi (che poi significa entrare in contatto con la propria “umanità”) è davvero tragico per tutti, ci fa davvero male. Perché, una volta che ci togliamo la nostra bella maschera, non troviamo più nulla di noi stessi: di quel grande personaggio che pensavamo di essere non troviamo più traccia. La maschera in qualche modo ci dava sicurezza. Non eravamo noi, ma per gli altri eravamo sicuramente “qualcuno”. Ora, senza camuffamenti, ci rendiamo conto che, nella nostra goffaggine, non siamo nessuno. O al più, peggiori di tanti altri.
È un momento difficile, duro, ma è un passaggio obbligato per ritrovare la nostra vita autentica, la strada verso noi stessi. È la conversione: cesseremo cioè di vivere una vita non nostra, a beneficio della gente, ostentando un qualcuno che non siamo; inizieremo umilmente a ricostruirci una nuova esistenza partendo dal nostro interno, da ciò che siamo veramente dentro, dalla nostra coscienza; ricomporremo pezzo dopo pezzo la nostra identità, ripartendo dal basso, dagli ultimi posti.
Del resto - il Vangelo lo sottolinea espressamente - se non ci mettiamo all'ultimo posto, se non iniziamo dalle fondamenta nascoste, dall’umiltà più convinta, non potremo mai costruire nulla, e non potremo neppure accogliere, ospitare, invitare chi a sua volta è anche lui “ultimo”.
Ecco: questo significa seguire il richiamo del “regno dei cieli”. Un “regno dei cieli” che è comunque un problema serio. Se infatti ci guardiamo allo specchio della nostra anima, se siamo onesti con noi stessi, noi che pensiamo di essere già veri cristiani, cosa vediamo in fondo, in fondo? Le nostre debolezze: che cioè anche a noi, discepoli convinti, piace stare ai primi posti; che ci piace trattare soprattutto con le persone belle, affascinanti, amabili, mentre cerchiamo di evitare quelle meno gradevoli, i poveri, i miseri; che ci piace aver a che fare con chi ha una posizione prestigiosa; che ci sentiamo onorati della loro amicizia e compagnia; che con tutto l’amore che predichiamo, se potessimo, elimineremmo volentieri quelle persone che ci stanno di traverso, o almeno faremmo loro, con grande piacere, un po' di male. Non ci vediamo forse così? No!? Se diciamo di no, non siamo sinceri con noi stessi: e sappiamo di mentire!
Certo, non è bello scoprirsi così! Ma questa è purtroppo la nostra natura umana! È la base su cui dobbiamo innalzare il nostro “regno dei cieli”. Guai a chi non si vede così. Guai a chi crede di essere superiore a queste miserie, a chi crede che tutto questo non gli appartenga. Vederci così fragili, al contrario, ci fa bene. Ci fa bene perché ci rende umili, ci ricorda la nostra debolezza umana: ci ricorda che, quando vediamo qualcuno che cade, non lo dobbiamo giudicare; perché sappiamo che ciò che è capitato a lui, può capitare in peggio anche a noi.
E concludo: solo se ascolteremo attentamente la nostra anima e conosceremo a fondo il nostro cuore, saremo in grado di ascoltare e conoscere il cuore degli altri. Solo se saremo sinceri con noi stessi, se non ci mentiremo, potremo essere sinceri e onesti con gli altri. Chi non si accetta così com’è, chi non sa stare umilmente al proprio posto, non accetterà mai nessuno altro alla pari! Perché chi si ritiene “primo”, guarderà gli altri sempre e solo come “secondi”. Amen.
 

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