venerdì 14 giugno 2013

16 Giugno 2013 – XI Domenica del Tempo Ordinario

«In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo» (Lc 7,36-8,3).
Il vangelo di oggi ci trasmette un messaggio profondo e consolante che ci invita al ritorno a Dio, alla fiducia piena nella sua misericordia, al pentimento, ad una nuova vita, al rientro nella sua grazia. L'uomo non è destinato a rimanere nel male e nella morte, perché il Signore si è fatto vicino per salvarlo, per rinnovargli la vita, per infondergli nuova fiducia, per elevarlo alla dignità di figlio di Dio.
La scena si svolge a casa di un fariseo, Simone, che aveva invitato Gesù a cena.
È chiaro che questo suo invito è solo un pretesto: egli vuole farsi una sua idea personale sul personaggio Gesù; vuole verificare di persona, stando faccia a faccia, se quel predicatore itinerante, di cui ultimamente aveva sentito tanto parlare bene, fosse realmente dotato di quelle qualità così straordinarie che gli venivano attribuite. È un calcolatore, il fariseo: dai ragionamenti che egli fa in cuor suo, emergono evidenti i segni della sua ristretta mentalità: come cioè nel corso della sua vita egli si sia sempre lasciato condizionare nei suoi giudizi, più dalla forma esteriore che dal contenuto, più dall’apparenza che dalle reali motivazioni interiori del prossimo: uno insomma molto esigente e severo sul comportamento morale degli altri, ma altrettanto permissivo e benevolo con il proprio; né più né meno di come fanno anche oggi tantissimi cristiani.
Così non appena Gesù esce dallo schema di quello che per lui era “lecito”, il nostro fariseo vuole immediatamente capirne le ragioni, rendersi conto del come e del perché.
E a prima vista, i fatti sembrano confermare il suo pessimismo; sembra quasi che Gesù, lasciandosi avvicinare e facendosi toccare da una donna notoriamente peccatrice, si squalifichi da solo, offrendo spontaneamente il fianco alle sue critiche e mormorazioni: insomma, un errore “grossolano” quello di Gesù. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca...!».
Simone lo critica proprio per questo suo sprezzo delle convenienze sociali; e nel contempo mette in dubbio la sua capacità di leggere dentro la coscienza altrui.
Ed è proprio dal comportamento di questa donna peccatrice - una donna che senza dire una sola parola entra piangendo e va dritta da Gesù, si getta ai suoi piedi, glieli bagna con le lacrime, li unge con l’unguento e li asciuga con i capelli - che Gesù trae lo spunto per il suo insegnamento.
È un gesto importante quello della poveretta: un gesto con cui lancia un messaggio disperato a Gesù: un grido che solo Lui afferra in tutta la sua gravità e importanza; e Lui lo spiega a tutti, a partire dal padrone di casa: «Simone, ho da dirti qualcosa».
Nella mentalità del fariseo l'interesse, la convenienza, ha sempre avuto la meglio sull’amore, sulla comprensione, sulla generosità, ha sempre soffocato gli slanci del cuore: perciò Gesù inizia a parlare partendo giustamente da un esempio “economico”: quanto più grande è la somma in denaro condonata ad un debitore, tanto maggiore sarà il debito di riconoscenza nei confronti del suo benefattore.
Così, dopo il giudizio scontato sulla donna e quello sospettoso nei confronti sul Signore, il fariseo è costretto a riformulare un giudizio di merito su se stesso: non aveva accolto il Signore nella sua casa con sincerità e disponibilità perché si riteneva superiore a Lui; inoltre aveva ulteriormente dimostrato questo suo pregiudizio giudicando superficialmente i gesti della donna, rivelando così un cuore totalmente sprovvisto di amore.
Un fatto grave e preoccupante, perché soltanto l'amore è in grado di farci conoscere la gravità delle nostre colpe e di predisporci, riconoscendoci peccatori, a riceverne il perdono. Solo l'amore autorizza il Signore a rimettere i peccati di chi se ne accusa contrito.
Ecco, fratelli: con questo episodio Gesù non si riduce semplicemente a dirci che la superbia è un peccato più pericoloso della sensualità; ma ci mostra soprattutto cosa dobbiamo fare per liberarci sia dell'una che dell'altra.
«I suoi molti peccati sono perdonati, perché ha molto amato». A Dio non importa la nostra devozione se non è sorretta dalla “passione”, dall’amore; non cerca “giusti” ma “figli”, a lui non interessa la nostra “immagine” ma quello che siamo realmente nel nostro cuore. Esige da noi suoi discepoli verità, passione, forza, apertura, entusiasmo, anche a costo di sbagliare.
La mansuetudine con cui il Signore ha accolto la donna è solo il segno esteriore della sua enorme misericordia per l’uomo, del suo amore infinito, con cui attira a sé le anime umili e pentite. Il nostro perbenismo e la nostra morale sterile non possono assolutamente competere con l'infinito amore di Dio.
Questo la donna peccatrice l’aveva percepito immediatamente, e non si era sbagliata.
Nei piedi del Signore che si muovono per terra, a contatto con le asperità del suolo, ella aveva intravisto la sua bontà e la sua “apertura” misericordiosa nei confronti dell’umanità; ed è partendo da essi che manifesta tutto il pentimento per la sua condotta peccaminosa; e poiché davanti a tutti aveva peccato, davanti a tutti si prostra a chiedere il Suo perdono. E sono proprio questi gesti, con cui si rivolge al Signore, che lasciano intravvedere il suo impegno di conversione: d'ora in poi avrebbe cambiato radicalmente la sua vita. Il profumo del suo amore di donna si sarebbe sparso solo per la gloria di Dio.
Ora, nel nostro cammino di discepolato, le ombre del nostro peccato, viste alla luce dell'amore di Dio, devono continuamente distoglierci da qualunque forma di superbia: siamo un nulla, ci distinguiamo soltanto per il nostro egoismo, per la nostra ingratitudine: il Signore ci chiede al contrario uno sguardo sereno sulle cose, facendoci capire che con un po’ di umiltà, contando sul suo aiuto, possiamo fare ancora tanto bene.
Quando Gesù pronuncia le parole di perdono, non sta parlando al presente, come di qualcosa che avviene in quel momento. Gesù semplicemente ricorda alla donna, al fariseo e a noi, che il perdono viene concesso nel momento stesso in cui riconosciamo le nostre colpe; nell'umiltà: il perdono della donna è legato infatti proprio alla sua umile azione di lavare, asciugare, baciare e profumare i piedi di Gesù.
Un'esperienza del perdono ricevuto, questa della donna, che a questo punto la trasforma, e la rende testimone per il mondo della sua grande bellezza interiore ritrovata: è in lei, infatti, che – pur rimanendo agli occhi di Simone una disprezzabile prostituta, una peccatrice da allontanare e punire - Gesù vede una donna rinnovata, una donna che ora ama col cuore.
Due punti di vista diversi, quello di Gesù e del fariseo: due punti di vista che ci provocano a ripensare profondamente il nostro modo di vederci gli uni e gli altri. Amen.

 

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