mercoledì 23 gennaio 2013

27 Gennaio 2013 – III Domenica del Tempo Ordinario

«Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre N.N., in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto». Lc 1,1-4; 4,14-21.
Sono le parole di apertura del Vangelo di Luca. Le ho volutamente adattate, rivolgendole a te, sconosciuto visitatore di passaggio, pregandoti di fermarti qualche istante per leggere queste brevi considerazioni.
Fermati e ascolta: forse Dio ora vuol parlare proprio a te.
Quante volte è capitato nella nostra vita: se ci succede di ascoltare, anche casualmente, un abile oratore, uno che ci colpisce immediatamente per la correttezza nel parlare, per la profondità e la condivisibilità degli argomenti trattati, il nostro primo impulso è di conoscerlo, di informarci da dove viene, di conoscere la sua storia, le sue origini, quali sono i suoi amici, le sue esperienze, i suoi studi, l’ambiente in cui vive, in una parola ci interessiamo alla sua vita.
Ebbene: noi che ci definiamo persone religiose, che ci professiamo cristiani, noi che ascoltiamo anche frequentemente in chiesa la sua Parola, che la troviamo giusta, consolante, piena di amore e speranza, non siamo per niente interessati a conoscere la persona di Gesù, ad approfondire la sua vita, i suoi insegnamenti. La sua figura non ci interessa, non ci appassiona, non ci crea alcun imbarazzo ignorare tutto, o quasi, di lui.
Eppure noi diciamo di avere “fede”: si, certo, noi abbiamo fede, ma fede in chi? Su che cosa? Su cosa appoggia la nostra fede? Possibile che Dio sia l’ultima delle nostre preoccupazioni? Allora, fratelli, siamo onesti con noi stessi; non riempiamoci la bocca di surrogati, tanto per far bella figura. Riconosciamo a noi stessi di non avere le idee chiare, quando le abbiamo, su fede in Dio, sul soprannaturale, sulla vita eterna, su come dobbiamo comportarci col prossimo, su come dobbiamo pregare e chi pregare. La nostra fede non è per niente solida, fratelli: non poggia su un terreno sicuro; al massimo si basa sul sentito dire, su qualche ricordo nebuloso della nostra infanzia, su delle usanze che abbiamo continuato a mantenere anche da adulti, senza magari chiedercene mai la ragione di fondo.
Beh, lo capiamo da noi: questo non è avere fede, non è vivere la propria fede. Non è essere cristiani. Chi cerca di amare Gesù, lo vuole ovviamente conoscere: lo vuole approfondire, vuole entrare nella sua vita, vuole rapportarsi con lui, vuole in qualche modo “sperimentarlo”; vuole entrare nel suo mondo, guardare le cose dal suo punto di vista: anche solo per provare! L'amore è conoscenza, fratelli, e la conoscenza è amore.
Una delle nostre grandi lacune, che è la stessa anche di molti preti, è che rischiamo di fare molta morale ma poco vangelo. Siamo molto esigenti con gli altri e molto poco con noi. Non conosciamo e non facciamo conoscere abbastanza il Dio di Gesù. Cerchiamo di insegnare ai nostri figli, agli amici, a chi ci sta a cuore, cosa devono o non devono fare; cosa devono fare per vivere bene, serenamente: ma ci guardiamo bene dal mostrare con l’esempio la figura di Gesù. In compenso facciamo tanta “politica” su Gesù: utilizziamo la sua parola, il suo vangelo, i suoi insegnamenti solo per determinati scopi. Ma non facciamo vedere a nessuno quanto grande sia il suo cuore, quanto la sua anima divina sia presente tra noi, quanto la sua umanità sia sconfinata, e come metta continuamente a nostra disposizione il suo amore senza limiti.
Purtroppo il perché di questo disinteresse è dentro di noi: è evidente che noi per primi non siamo innamorati di Lui. E, lo ripeto, non possiamo conoscere e far conoscere agli altri qualcuno del quale noi stessi conosciamo troppo poco, di cui non siamo innamorati. Non possiamo peraltro impegnarci, dare la vita a chi nel profondo del cuore, ci è indifferente. Non possiamo fidarci di uno che consideriamo un nemico, un controllore, un “rompi”, un ostacolo alla nostra felicità. E Gesù, d’altro canto, non ci può guarire se noi non lo vogliamo, se non ci abbandoniamo a Lui, se non crediamo in Lui, se non sentiamo che Lui è la Vita vera, profonda, intensa.
È questa un po’ la nostra situazione, fratelli! Immaginiamo di essere in regola solo perché di domenica continuiamo a frequentare la messa. Oppure ci sentiamo spiritualmente e religiosamente impegnati solo perché ci interessiamo a livello sociale di iniziative umanitarie, perché ci sentiamo sensibili alle problematiche mondiali, o perché simpatizziamo per i vari santoni oggi tanto di moda; per quei “guru” commerciali, emeriti ciarlatani, che mediaticamente propongono le loro fasulle teorie, magari condite da un eccentrico ascetismo orientaleggiante. Seguiamo purtroppo le mode. E abbiamo sempre più paura di guardarci dentro.
E invece dovremmo chiederci il perché di tutto questo. Dovremmo farlo con onestà, senza barare con noi stessi.
Certo, non è che il comportamento dei cristiani di oggi ci sia di particolare aiuto: siamo infatti circondati da tanti credenti, pastori, ministri, laici impegnati, che sono spiritualmente atrofizzati, senza entusiasmi, senza iniziative. Persone che si limitano solo allo stretto indispensabile, senza riuscire a trasmettere nulla. Persone che non si aggiornano, che non si affinano nello studio e nella preghiera, che non sono spinte dall’entusiasmo di vivere e condividere con i fratelli il messaggio di Cristo. Persone che non combattono più per i loro ideali. Persone, in una parola, che non hanno più fede.
Ebbene, fratelli, per quanto ci riguarda non temiamo di conoscere Cristo, non continuiamo a rimanere nell'ignoranza: se abbiamo il coraggio e la forza di metterci sotto la sua luce, diventeremo sicuramente illuminati. Non accontentiamoci di quello che si dice in giro, di quello che i media ci trasmettono: ma, come Luca, cerchiamo la Verità, verifichiamola, studiamola, applichiamola a noi stessi, alla nostra vita, umilmente, con i piedi per terra e con gli occhi fissi sul Suo volto.
Ascoltiamo, oggi, la voce di Gesù che ci legge il rotolo di Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio». A seguito del nostro Battesimo, siamo tutti degli “unti” del Signore. Attualizziamo le parole della Scrittura. Tutto quello che Gesù ci insegna nel Suo Vangelo, non è un qualcosa di anacronistico, una bella storia di ieri; ma è un viatico per oggi, un qualcosa di molto importante che ci riguarda tutti da vicino.
Quando ci avviciniamo al Vangelo, noi leggiamo la nostra vita: l’“oggi” della nostra vita. Quello che troviamo scritto lì, è proprio quello che ci serve oggi. Se veramente sentiamo quelle parole dentro di noi, vuol dire che parlano a noi di noi. Magari le abbiamo già udite centinaia di volte, ma forse non le abbiamo mai “sentite”. Non abbiamo capito il loro messaggio: “Ai poveri il lieto annuncio, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, la libertà agli oppressi”. Sì, fratelli: Cristo è venuto proprio per noi; perché poveri, prigionieri, ciechi, oppressi, oggi lo siamo tutti noi. Lo siamo noi e lo sono tutti i nostri prossimi.
«Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha mandato»: Dio ha mandato anche noi: per cui le sue parole devono essere le “nostre” parole; Dio parla di noi, a noi. E lo fa oggi; anche se a noi, guarda caso, dà fastidio che Lui ci scelga proprio oggi; perché abbiamo già tanto da fare, abbiamo tanti altri impegni più importanti: i figli, la famiglia, il lavoro, la casa, la macchina, i nostri divertimenti, il nostro riposo; non possiamo sconvolgere così su due piedi tutte le nostre certezze. Vogliamo una vita serena, noi; una vita tranquilla, senza scossoni, senza imprevisti.
C’è un fatto però, cari fratelli: che se tutto quello che ascoltiamo dal Vangelo non accade oggi, se non lo caliamo oggi nella nostra vita, quelle parole di Vita ci scivolano via, rimangono lettera morta; allora il vangelo continuerà ad essere per noi soltanto un bel libretto, un’operetta scritta bene, affascinante, un piccolo best-seller. Ma solo quello; per noi Gesù è morto e basta; Gesù non è più vivo, non è più la nostra forza, il nostro coraggio; non può più dare senso alla nostra vita.
Se gli insegnamenti del Vangelo non ci toccano, non entrano dentro il nostro cuore, non ci coinvolgono, non ci commuovono, allora non servono a nulla: tutto diventa inutile, come inutile sarà la nostra vita.
Non continuiamo a perdere il nostro tempo pensando a cosa sarebbe meglio fare, a come lo dovremmo fare: facciamolo e basta. Facciamolo oggi. Dobbiamo dire qualcosa a qualcuno? Diciamola oggi! Dobbiamo scusarci? Facciamolo oggi. Dobbiamo intraprendere un nuovo cammino? Partiamo immediatamente. Oggi, subito: domani sarà tutto più difficile di oggi; “oggi” e non domani, perché “domani” è la voce della nostra paura; rimandare a “domani” vuol dire non farlo “mai” più!. Allora prendiamo subito in mano il timone della nostra vita, e illuminati dalla luce del Vangelo, decidiamo immediatamente la rotta da seguire. Amen.
 

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