mercoledì 22 agosto 2012

26 Agosto 2012 – XXI Domenica del Tempo Ordinario

«Disse allora Gesù ai Dodici: Volete andarvene anche voi? Gli rispose Simon Pietro: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 60-69).
Il vangelo di oggi è la continuazione di quello di domenica scorsa e conclude il lungo discorso di Gesù sul pane. Abbiamo già detto che le parole di Gesù sono difficili da capire, e oggi Giovanni ce lo ribadisce ancor più chiaramente: «molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
In questo lungo discorso, in estrema sintesi, Gesù sostiene che bisogna nutrirsi di autenticità e denuncia le ipocrisie dei suoi ascoltatori: in altre parole, non basta dirsi credenti, non basta una semplice preghierina, non basta un’opera buona, non basta avere ottime intenzioni, non bastano i buoni propositi… Tutte cose lodevoli, ma non bastano, non servono, non sono sufficienti.
Quante volte ci siamo proposti anche noi di fare questo e quello, e poi puntualmente non l’abbiamo neppure iniziato. E non possiamo accampare scuse: è più onesto ammettere che non abbiamo voglia di farlo, che non abbiamo motivi sufficienti, ragioni profonde.
“Chi mi vuol seguire deve mangiare la mia carne”: l’invito è chiaro; chi vuol essere mio discepolo deve respirare la mia stessa aria, deve fidarsi di Me, deve essere convinto, deve avere i piedi ben piantati per terra, deve sentirsi protetto e sicuro nella Mie mani, anche se si trova in mezzo a conflitti e difficoltà di ogni tipo; e soprattutto deve vincere la paura, qualunque paura.
Anche se perentorio, capiamolo bene fratelli, quel “deve” non indica comunque un “obbligo”, una costrizione; è un “deve” che ci offre di scegliere l’unica, valida opportunità per seguire Gesù. In tutta libertà. Possiamo farlo o non farlo, dipende da noi. L’importante è che di fronte a questo bivio dobbiamo essere onesti con noi stessi: non possiamo illuderci, non possiamo prenderci in giro; non possiamo pensare di accantonare l’invito, privilegiando percorsi fasulli, che non potranno mai portarci a nulla di buono.
Gesù non costringe nessuno a seguirlo. Non costringe i suoi fedeli. Egli non sa che farsene di persone che lo seguono per obbligo, per dovere, per costrizione. Non facciamo così anche noi? chi infatti sceglierebbe per amico fidato una persona che non ama, che non stima, che odia? Sarebbe assurdo! E allora come facciamo a pensare di piacere a Dio, di essergli amici, discepoli fedeli, se lo seguiamo soltanto per “dovere”, perché così ci è stato insegnato fin da piccoli, perché purtroppo ci “tocca” e non possiamo farne a meno di fronte agli altri, alla famiglia, alla comunità? Dio non sa che farsene di gente simile, di gente che non lo ama! Gesù vuole essere seguito nella libertà e per amore: nella libertà perché siamo noi che lo scegliamo; perché siamo noi che lo vogliamo, che decidiamo di volerlo; il motivo? perché Lui per noi è l’aria che respiriamo, il pane che ci sazia e l’acqua che ci disseta; la Vita che ci fa vivere; e lo facciamo per amore perché siamo attratti da Lui, sentiamo che la nostra vita senza di Lui è vuota; perché abbiamo assoluto bisogno del suo amore, quel Pane che ci nutre, quella Strada sicura, quella Via verso la Verità e la Vita. Lo seguiamo perché ci conquista continuamente, ci affascina, ci prende l’anima.
Ecco perché i tiepidi, i poco innamorati, i poco convinti, quelli cioè che seguono Gesù solo per convenienza, di fronte alla Sua proposta secca e perentoria, rimangono costernati, allibiti, pietrificati: “È duro questo linguaggio, chi può intenderlo?”
E sono anche vili: perché non hanno il coraggio di dirlo apertamente a Gesù; borbottano tra di loro, di nascosto, con cattiveria. Niente di nuovo, comunque: è tipico di chi è insignificante, mediocre, “mezza tacca”, comportarsi in questo modo. Se ha qualcosa da dire, se non è d’accordo, se c’è qualcosa che non gli va, non è mai chiaro, franco, sincero; preferisce nascondersi nell’ombra, nella critica subdola, nella maldicenza, nel colpire a tradimento, nello sparlare alle spalle. È gente che si comporta così proprio perché ha paura; teme il confronto, perché non sa sostenere pubblicamente le proprie idee, le proprie posizioni. I loro sussurri si basano soltanto su malevoli “si dice”, spesso vere e proprie calunnie; evitando il confronto diretto, contrabbandano per autentiche le loro meschine falsità.
Questi pseudo discepoli hanno dunque paura di Gesù. Temono il suo giudizio e quindi preferiscono nascondersi (ricordate Adamo nell’Eden?), scelgono di borbottare alle sue spalle piuttosto che comunicargli i loro sentimenti. Ma Gesù coglie distintamente le loro mormorazioni, coglie la loro poca convinzione, la loro meschinità: “Questo Rabbi è troppo esigente, ci chiede troppo; se le cose stanno così, noi ce ne andiamo!”.
Quanti “cristiani” anche oggi, fratelli, ricorrono alle più futili spiegazioni, accampano le scuse più banali per giustificare il loro abbandono della fede e della Chiesa! Dicono che la chiesa deve cambiare, che non è più quella di Cristo, che nella chiesa ci sono troppe “mele marce” (il che è anche vero, ma purtroppo è fatta di uomini), che preferiscono seguire una “loro” religione più spirituale, più coerente di quella cattolica; ma “per carità: noi non rinunceremo mai di professarci cristiani”! Poveretti. Il vero motivo invece, fratelli miei, è che hanno capito che Gesù è esigente, che non si accontenta di parole, di “manfrine”, di parate esteriori. Il vero motivo è che non vogliono mettersi in gioco; hanno capito che seguire Gesù non è proprio come andare a divertirsi. Il divertimento si risolve nel presente, nell’attimo fuggente, non impegna il domani. Seguire Gesù invece è una scelta “pesante”, con delle conseguenze che si ripropongono incessantemente, ogni istante della giornata, tutti i giorni della vita. Hanno insomma capito che Gesù non ammette scorciatoie, sotterfugi, furberie: se vogliono seguire Gesù, devono purtroppo dire “sì” a certe cose, e “no” a certe altre. Non ci sono altre possibilità.
“Questo linguaggio è duro”. È vero. E chiediamoci anche: “chi può capirlo veramente in tutta la sua portata? Chi lo può fare proprio? Chi può viverlo coerentemente?
È chiaro che Gesù qui si è stancato di assistere all’indifferenza, all’egoismo, al tornaconto materiale di gran parte della folla che lo segue. La sua pazienza è andata oltre ogni limite. E fissa i paletti: mette cioè quelli che dicono di volerlo seguire, di fronte alle proprie responsabilità. E lo fa in maniera risoluta: “Se non lasci tuo padre e tua madre, non mi puoi seguire”. Se cioè ti volti indietro e ti attacchi al passato, se pensi a quanto bello era una volta, a come stavi bene prima, non mi puoi seguire! Gesù deve talvolta sembrare minaccioso, deve essere severo, deve farsi temere. E nonostante che questo lungo discorso sul “pane della vita”, Gesù lo faccia in una sinagoga (Gv 6,59), quindi alla presenza di persone “religiose”, di persone “esperte”, molte di loro se ne vanno. Gli dicono: “Chi ti può seguire Gesù, se è così come dici tu?”. Gesù non le ferma. Non si preoccupa affatto di quanta gente lo segua. Gesù non vuole folle oceaniche di discepoli, vuole semplicemente innamorati della Vita e dello Spirito.
Si racconta che un santo abate avesse raccolto al suo seguito circa duecentomila monaci. Un giorno un visitatore gli chiede: “So che i tuoi monasteri sono tutti sovra popolati; quanti monaci arrivi a contare in totale?”. E lui risponde: “Quattro o cinque!”.
Gesù con dodici persone (anzi undici perché uno lo tradì) cambiò il mondo. La quantità non è mai stata una sua preoccupazione. Noi invece siamo molto sensibili ai grandi “numeri”: e non ci rendiamo conto che l’ansia per il numero è segno della nostra voglia di emergere, della nostra sete di potere, di essere importanti, di essere riconosciuti. “Guarda quanta gente ti abbiamo portato, Signore! Guarda, quanti discepoli abbiamo radunato nella tua Chiesa!”. E non ascoltiamo quello che Egli invece vuol dirci: “Non preoccupatevi troppo del numero, non è affare vostro; preoccupatevi piuttosto che le vostre parole e la vostra vita siano “si, si; no,no”; siano cioè coerenti allo Spirito di Vita”.
Gesù non dice a chi se ne vuole andare: “Ma perché te ne vai? ho detto qualcosa che ti ha fatto male? Non andartene, ti prego!”. Gesù non li ferma. Non vuole sudditi, marionette, servi. Vuole uomini liberi. Se rimangono, rimangono perché lo vogliono, perché credono in Lui. Nessuno deve rimanere con Lui per paura, per senso di colpa, per dovere.
A questo punto si rivolge anche ai dodici senza mezzi termini: “Volete andarvene anche voi?”. Eppure gli apostoli erano la sua casa, i suoi amici, i suoi “partner”. Ma Gesù non si attacca neanche a loro, vuole un rapporto basato sulla libertà, sulla sincerità. Un invito coraggioso il suo: “Siete liberi di rimanere o di andarvene”. Gesù non usa particolari strategie per trattenerli: né sensi di colpa, né il suo fascino, né il suo potere, né la manipolazione, né l’adulazione, ecc.
E finalmente, a questo punto, interviene Pietro; esplode! L’impulsivo e passionale Pietro sbotta: “Ma Signore da chi vuoi che andiamo? Da chi altri troveremo mai quello che ci dai tu?”.
“Da chi vuoi che andiamo, Signore?”. L’economia, il mondo, la società, ci possono dare i soldi e il benessere, ma non ci possono dare la felicità dell’anima, la sensazione di essere vivi, la passione e la vitalità.
“Da chi vuoi che andiamo, Signore?”. La giustizia e la magistratura possono darci sentenze, ma solo tu sai cosa c’è nel cuore dell’uomo. Tu solo conosci la vera giustizia e la verità.
“Da chi vuoi che andiamo, Signore?”. La famiglia può darci amore e affetto, gioia e unione, ma nessun amore può spegnere la nostra sete e la nostra ricerca infinita di amore, di approvazione. Solo tu puoi amarci di un amore incondizionato. Lo psicologo, la guida spirituale, possono migliorare le nostre relazioni, curare e rimarginare le ferite dell’anima. Ma poi, altri dolori e altri dispiaceri si accumulano nel nostro cuore.
“Da chi vuoi che andiamo, Signore?” Chi ci può ascoltare sempre? Chi asciuga in ogni istante le nostre lacrime? Chi c’è sempre pronto a soccorrerci? Quando sbagliamo, quando combiniamo guai terribili, da chi possiamo ricorrere ogni volta? Chi ci può dire: “Io ti perdono, va’ in pace, tutto è cancellato, ricomincia da capo, come nuova creatura”? Quando “scantoniamo”, quando inganniamo noi stessi per paura di affrontare la realtà, sei Tu che ci riporti in noi stessi; sei Tu che permetti alle situazioni di costringerci a farlo. Per fortuna ci sei Tu! Chi altro può dirci: “Va bene così”, in modo da farci sentire a casa nostra, a nostro agio, anche se non siamo perfetti? Chi altro può dirci: “Ci sono io”, così da sentirci sempre seguiti, accompagnati, quando non sappiamo dove andare? Chi altro può dirci: “Non aver paura”, quando siamo paralizzati dal terrore?
Solo Tu, Signore. Solo Tu hai parole di vita eterna!
Allora, “da chi altro vuoi che andiamo, Signore?” Solo da Te. Amen.


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