giovedì 30 agosto 2012

2 Settembre 2012 – XXII Domenica del Tempo Ordinario

«Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro». E diceva ai suoi discepoli: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, in­ganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo» (Mc 7,1-8.14-15.21-23).
Dopo la lunga parentesi in cui abbiamo meditato per intero il sesto capitolo del vangelo di Giovanni, riprendiamo la lettura di Marco che ci accompagnerà fino alla conclusione di quest’anno liturgico. Per meglio comprendere l’assurdità dell’episodio che Marco oggi ci propone, dobbiamo necessariamente rifarci ai fatti che immediatamente lo precedono: Gesù ha appena vissuto tre esperienze fortissime in prossimità del lago di Tiberiade.
La prima sulla riva: molta gente lo seguiva perché “erano come pecore senza pastore” (6,34). Avevano lasciato casa, lavori, campi e si erano perfino disinteressati del cibo pur di ascoltarlo. E proprio per loro Gesù opera la moltiplicazione dei pani (6,34-43); Egli fa esperienza di una gran folla di persone assettate, affamate, che vogliono sapere, che vogliono nutrirsi, che vogliono mangiare cibo di vita.
La seconda durante la traversata del lago: i suoi discepoli sono angosciati per il forte vento e non riescono a remare. Gesù va incontro a loro camminando sulle acque. I discepoli sono terrorizzati e credono sia un fantasma. Ma Gesù dice: “Coraggio sono io, non abbiate paura” (6,47-52). Gesù sente, percepisce la paura, il terrore dei suoi amici: il terrore di affondare nel vento, il terrore nel vederlo, nel vedere cose straordinarie che non riescono a metabolizzare.
La terza dopo l’approdo sulla riva opposta: la gente lo riconosce e lungo tutto il suo passaggio una folla di malati e paralitici, solo toccando il suo mantello, improvvisamente “venivano salvati” (6,53-56). Gesù sente il dolore della malattia, della sofferenza, del limite, dei condizionamenti.
Gesù dunque si sente immerso nella vita, è attorniato da gente che vive ai margini dell’esistenza umana, dove la miseria scorre, dove si soffre, dove si cerca disperatamente di sopravvivere: dove si piange e ci si dispera, dove ci si rialza, dove, insomma, si vivono intensamente sentimenti di pathos, di dolore, di disperazione.
E mentre Gesù vive e condivide tutto questo, alcuni farisei e scribi si avvicinano e si lamentano con lui: “I tuoi discepoli non si sono lavate le mani; i tuoi discepoli mangiano di sabato; i tuoi discepoli toccano persone impure; i tuoi discepoli non sono religiosi perché non rispettano tutte le leggi”. Ecco, questo è il loro grande assillo, il loro problema esistenziale! È naturale quindi che Gesù di fronte a tanta stupida superficialità si scateni. Diventa furibondo contro questi ottusi legalisti, questi “ipocriti”, questa gente che rispetta tutti i 613 precetti della legge soltanto per salvare le apparenze, per farsi belli di fronte agli altri. E Gesù si esprime nei loro confronti ruvidamente, gelidamente, con rabbia. “Sono questi i vostri problemi vitali? Siete senza cuore, non avete anima, non avete ancora capito né percepito chi è davvero Dio, cosa vuole e a che cosa ci chiama veramente. Con le vostre stupide tradizioni e leggi vi fate soltanto compatire. Voi vi preoccupate di essere a posto, bravi, in perfetta regola davanti agli altri; a me invece interessa l’uomo, il suo interiore, l’anima, l’amore, la vita. A voi interessano tutti i precetti della legge, a me interessa l’amore dell’uomo, le sue fatiche, le lacrime, le conquiste, i piccoli passi, le libertà conquistate. A voi interessano queste leggi perché siete legati dentro, con voi stessi; a me interessa l’uomo perché sono libero. A voi interessa l’apparire; a me interessa l’essere”.
Al tempo di Gesù la legge ebraica è ancora scrupolosamente rispettata da tutti. Il favore poi, di cui i farisei godono tra i loro concittadini, è fuori discussione. Quindi Gesù, che li critica, si scaglia non solo contro di loro ma contro un sistema di valori, che era accettato e condiviso dall’intera popolazione. Ciò che Gesù dice è pertanto contro la morale comune. Ciò che Gesù dice è altamente scandaloso.
Del resto le regole dei farisei originariamente non erano stupide; è che nel corso dei secoli hanno perso il loro valore. Lavarsi le mani o rispettare il sabato aveva sicuramente un senso molto profondo. Era un modo per dire: “Devo avvicinarmi a Dio con le mani e soprattutto con il cuore puro; ritagliare un tempo, il sabato, di preghiera, di silenzio, di pace, per vivere ricordandomi che Dio è il signore del tempo e di ogni giorno. In quel giorno non farò niente non perché Dio voglia che io non faccia niente, ma perché nessun lavoro può essere paragonato a Dio”. Gesti che col tempo hanno perso la loro anima, si sono svuotati. Non hanno più significato, si continuano a fare perché si è sempre fatto così, perché si è stati abituati così.
Quando un gesto perde la sua anima, diventa automaticamente formale o “fondamentalista”.
Un gesto esprime (o dovrebbe esprimere) un senso, un’anima, un sentimento del cuore. È la conseguenza di un impulso interiore, di ciò che abbiamo e proviamo dentro. Se perdiamo di vista l’obiettivo, se il nostro gesto non esprime più l’intenzione è inutile, è formale, sicuramente anche falso.
Quindi, pur nel loro scrupoloso e formale attaccamento alla legge, le persone che attorniavano Gesù erano tutto sommato delle brave persone: e tra queste persone Gesù mette in atto la profonda rivoluzione del suo Vangelo. Purtroppo è che molti di loro non sono riusciti comunque a incontrare il Dio di Gesù! Anzi, non l’hanno voluto proprio incontrare!
Beh, fratelli, quante volte anche noi diciamo: “Sono un bravo cristiano! Vado a messa tutte le domeniche, non faccio male a nessuno, non rubo, non uccido”. Tutto questo è una cosa buona, positiva. Ma non è il Dio di Gesù. Il Dio di Gesù è misericordia, amore, perdono, vita.
Cosa proviamo nel nostro cuore? Quando trattiamo col nostro prossimo, cosa sentiamo, cosa avvertiamo dentro? Il nostro cuore vive più di odio o di amore? Nel risentimento vendicativo, o nella gioia della vita? Se gli altri hanno successo, proviamo piacere o invidia? Il nostro cuore è isolato, chiuso, o è aperto all’amore e alla compassione verso tutti? Oppure il nostro cuore non sente più nulla, è morto, arido, rinsecchito?
Fino a qualche tempo fa anche nella nostra chiesa cattolica questa mentalità “esteriore” era molto in auge (e per molti lo è ancora oggi!). C’era la tendenza a “quantificare”, a “contabilizzare” tutto ciò che riguardava la vita cristiana. La domanda classica era: “Quante volte?”. Nel catechismo c’era, ad esempio, l’invito a fare spesso il segno della croce: “Perché tante volte?” (il catechismo era fatto a domande e risposte). “Perché in ogni tempo e luogo i nostri nemici ci combattono e ci perseguitano”. Vero, ma pensate che paranoia, che senso di persecuzione si nascondeva dietro ad una risposta del genere! Un bravo cattolico inoltre doveva conoscere: le 7 domande del Padre Nostro, i 10 comandamenti, le 14 opere di misericordia (7 spirituali e 7 corporali), i 7 sacramenti, le 5 parti o condizioni del sacramento della penitenza, le 9 cose mediante le quali si perdonano i peccati veniali, i 7 peccati capitali, le 7 virtù teologali, le 4 virtù cardinali, i 5 sensi corporei, i 7 doni dello Spirito e i loro 12 frutti, le 8 beatitudini, i 4 novissimi, i 15 misteri del rosario, ecc. ecc.
Una edizione del catechismo diceva addirittura che pecca mortalmente: “colui che giura dubitando se ciò su cui sta giurando sia effettivamente vero ; colui che lavora più di 2 ore nei giorni di festa senza bisogno; il figlio che non obbedisce ai genitori per quanto riguarda i buoni costumi; colui che dice o canta cose sconce o le ascolta con piacere; chi assiste alla messa senza attenzione per un tempo notevole; chi non digiuna senza legittima causa; chi è obbligato all’astinenza delle carne nei giorni stabiliti e non la osserva; chi non compie una penitenza grave o la rinvia per molto tempo, ecc.
Fratelli miei: di fronte a tutte queste “prescrizioni legali” chi potrebbe professarsi ancora un “bravo cattolico? Gesù li chiama “ipocriti” i legalisti. “Ipocrita” in greco vuol dire “colui che recita, che declama”; “ipocrita” indica una falsa apparenza, una maschera, uno che all’interno è all’opposto di quello che fa vedere all’esterno.
Gesù condanna questa gente per due motivi. Primo: hanno deformato il comandamento di Dio, mettendo in bocca a Dio leggi e norme umane. Cioè: fanno dire a Dio quello che vogliono loro (il loro pensiero). Secondo: non sono le cose ad essere pure o impure ma è il cuore dell’uomo a renderle tali. Non è ciò che è fuori che contamina o consacra le persone, ma ciò che è dentro. “Tutto dipende dal nostro cuore” dice Gesù, e “Ciò che hai dentro è la tua vita o la tua morte”.
Se ciò che facciamo non nasce dal cuore, è una semplice “prestazione”, un esercizio meccanico. Noi possiamo pregare: ma se la nostra preghiera non ha un cuore, non ci coinvolge, non ci “tocca”, non ci fa vibrare, non ci procura dei sussulti, non potrà mai metterci in contatto con il Padre.
Se noi preghiamo e la nostra preghiera non ha un cuore, non sarà mai lode a Dio; lo facciamo, come i farisei, per altri motivi: per essere bravi, per essere ammirati, stimati, a posto con la legge e con la nostra coscienza (deformata!).
Noi possiamo dare un bacio: ma se il nostro bacio non ha un cuore, cioè se non vogliamo bene alla persona che abbiamo baciato, non proviamo affetto per lei, non proviamo un sentimento, il nostro bacio è come quello di Giuda. Giuda, un apostolo, bacia Gesù, ma il suo bacio è impuro. Anche la Maddalena e altre donne, considerate “donnacce”, lo baciano, ma il loro è un bacio puro, di amore autentico.
Non è il gesto ma l’intenzione con cui lo facciamo che lo rende decisivo. È ciò che abbiamo dentro che determina ciò che facciamo fuori; in altre parole è ciò che abbiamo dentro che determina la nostra vita e diventa il nostro destino.
Cosa succede allora se dentro abbiamo un vulcano? Cosa possiamo seminare, cosa può uscire da noi se dentro siamo solo un magma rabbioso? Come possiamo rapportarci ai figli, al coniuge, ai confratelli, a qualunque altra persona, con tutto quel livore che bolle dentro di noi? Prendiamoci cura del nostro cuore, fratelli, perché è da lì, da dentro, che viene ciò che distrugge noi e chi ci sta vicino.
Cosa succede se dentro abbiamo un cuore superbo, prepotente, tiranno? Giudichiamo tutto e tutti: bianco o nero; bene o male, giusto o sbagliato, bravo o cattivo. Il nostro comportamento con gli altri è sempre duro e intransigente. Allora prendiamoci cura del nostro cuore perché da esso sgorga la vita o la morte.
Cosa succede se dentro abbiamo una tempesta di dubbi? Non sappiamo ascoltarci, siamo frastornati dalle nostre fantasie: e non possiamo certamente ascoltare gli altri. Non siamo felici noi e non faremo felici gli altri. È ora che ci prendiamo cura del nostro cuore perché è la sorgente di ogni felicità e di ogni infelicità.
Cosa succede se dentro non abbiamo amore? Se siamo aridi? Se sentiamo un “vuoto” di amore? Ebbene, non potremo che essere gelosi, insensibili, egoisti e invidiosi degli altri. Prendiamoci cura dei “vuoti”, delle voragini del nostro cuore, e così non cercheremo di riempirli con cose e persone sbagliate. Prendiamoci cura del nostro cuore, fratelli,  e il mondo non potrà che inchinarsi ai nostri piedi. Se il cuore è libero vive d’amore. Ma se è pieno d’altro, di questo vive. Amen.

 

Nessun commento: