martedì 8 maggio 2012

13 Maggio 2012 – VI Domenica di Pasqua

«Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore»(Gv 15,9-17).
Se ci guardiamo intorno, mentre ci vengono proclamate dall’ambone queste parole, la reazione che notiamo è soltanto quella di una totale indifferenza. Non incidono più, non colpiscono più, ci scivolano addosso, senza provocarci più alcuna emozione. Del resto sono sempre le stesse parole, sentite e risentite in tutte le salse; ci sono state bombardate nelle orecchie fin dal catechismo della prima comunione, e riascoltate poi durante gli anni in migliaia di prediche e di conferenze. Ma perché puntualmente ogni tanto ci viene riproposta questa raccomandazione? Perché non ci viene detto qualcosa di diverso? Ebbene, fratelli: non si può. Non c’è niente di diverso che sia altrettanto fondamentale, altrettanto essenziale di questo comandamento di Gesù. È il punto di partenza del cammino cristiano; è il testamento originale di Gesù; sono le parole chiave di tutto il suo Vangelo. Dobbiamo amarci; i cristiani devono amarsi. Punto.
Invece pensiamo: “Noi siamo cristiani, e quindi questo lo facciamo già”. Mah!, è davvero così scontato, così pacifico, che noi cristiani, gente che preghiamo, che andiamo a messa, che facciamo pratiche di carità... ci amiamo veramente? Una volta sicuramente: alludendo ai cristiani, la gente diceva: “Guardate come si amano!”. Ma oggi? Anche oggi dicono di noi la stessa cosa? Scusate, ma ho dei dubbi. Io perlomeno non l’ho mai sentita. Oggi ci definiscono semmai: “Quelli che vanno in chiesa”, e quasi sempre lo dicono in un tono dispregiativo. Hanno ragione? Beh, se noi prendessimo sul serio il comandamento dell’amore, questo non succederebbe; questa sarebbe un’offesa bruciante, un giudizio superficiale e limitativo, una grave carenza di obiettività: sicuramente non sarebbe un modo corretto per identificarci. Succede però, fratelli miei, che proprio noi per primi siamo convinti che, per essere buoni cristiani, sia sufficiente andare in chiesa!
E allora dobbiamo fare un piccolo esame di coscienza, dobbiamo chiederci seriamente: “In che cosa si deve contraddistinguere un cristiano? Cosa lo identifica come tale? Forse il fatto, come abbiamo detto, di andare a Messa? Il fatto di non commettere peccati? Il fatto di pregare? Di destinare l’8x1000 alla Chiesa Cattolica? Che cosa, dunque? Ebbene: la risposta ce la dà Gesù, dicendo semplicemente: “vi riconosceranno dall’amore”. Ecco: è soltanto dall’amore che si riconosce un cristiano;  un vero cristiano risalta subito per la passione, per l’entusiasmo con cui agisce, per la discrezione e la riservatezza con cui tratta le persone e le cose: si distingue cioè per l’amore che lo anima; solo per l’amore. Non dai vestiti, non dalle croci d’oro appese al collo, non dalle messe domenicali o dalle scelte politiche. Ma solo ed esclusivamente dall’amore. Non un amore qualunque, come potrebbe essere inteso dal mondo, ma un amore identico a quello che ci ha insegnato Cristo. Questo occorre ripeterlo e precisarlo, perché nulla di più ambiguo - oggi – si nasconde sotto la parola “amore”.
Dietro questa parola si celano una varietà infinita di significati: passione, attrazione, erotismo, carità, benevolenza, interesse, coinvolgimento, oblazione... Com’è, allora, l’amore cristiano che ci deve animare? Un amore dal collo torto e lo sguardo melenso, riservato estaticamente ad una qualunque immagine di Gesù e della Madonna? Nossignori: l’amore dei cristiani è un qualcosa di ben più profondo: un amore che prima di essere donato agli altri, noi stessi lo riceviamo dall’alto, lo accogliamo come un dono divino. È come in una fontana dei villaggi di montagna: riceve l’acqua dalla sorgente fino a riempirsi completamente;  e, una volta piena fino all’orlo, la lascia scorrere attraverso tanti rivoli, verso fiori, giardini, colture secche e bisognose di vita. Ecco: il nostro amore è come quest’acqua limpida e benefica; amare i fratelli, per il cristiano, non è uno sforzo, non è un lavoro, non è una rappresentazione scenica; è una cosa naturale: significa riversare spontaneamente e silenziosamente quello stesso amore che lui riceve gratuitamente da Dio; quell’amore che, una volta saturato il suo cuore, si spande a caduta sui fratelli. Noi infatti amiamo perché ci sentiamo fortemente amati. Ci scopriamo scelti, pensati, calati in un progetto meraviglioso; ci sentiamo cercati e svelati a noi stessi; ci scopriamo belli dentro, perché illuminati dal Signore; capaci di amare oltre il possibile, perché riempiti dall’amore di Dio. Scopriamo così che è l’amore, e solo l’amore, che riempie il mondo e regge l’universo. Sentiamo che è possibile superare qualunque difficoltà, che possiamo vincere qualunque rigurgito di egoismo che – talvolta – può distorcere il nostro sorriso. Si, fratelli: noi possiamo amare ed accogliere gli altri, perché Lui per primo ci ha amati e ci ama. Lo possiamo fare perché Egli, paziente e misericordioso, ci ha dato la vita intera per poter restituire agli altri il grande amore di cui ci ha privilegiati.
Certo, non è sempre tutto rose e fiori; talvolta l’amore anche tra gli stessi fratelli cristiani può essere sofferto e faticoso, può incontrare resistenze e contrasti, imporre rinunce e privazioni.
Del resto il nostro rapporto non si fonda sulla simpatia, ma sulla fraternità,  e dobbiamo avere il coraggio di perdonare presente ingratitudini, favorire sempre le ragioni dell’altro anche quando sono sfavorevoli a noi. Dobbiamo imitare Gesù, nostro Maestro, che amò i “suoi” fino alla fine, fino alle estreme conseguenze; dobbiamo amare fino al punto di trasformare la nostra vita in un donarsi spontaneo e senza calcoli, sapendo che, come dice Gesù, se uno perde la sua vita, la dona, la offre, la spende per gli altri, in definitiva la guadagna. E dobbiamo farlo senza ricorrere a falsi misticismi, senza ingenuità, ma vivendo la nostra quotidianità, disposti anche a subire qualche incomprensione e qualche fregatura, pur di mantenere, quando ci chiniamo sul prossimo, quello stesso sguardo benevolo che ebbe Gesù.
Questa è la vita cristiana, fratelli: questo è il nostro programma; e penso che dovremo tutti lavorare ancora sodo perché – almeno nelle nostre Pasque domenicali – si respiri nella Chiesa vera accoglienza e carità, e non la noiosa fatica di dover assolvere a un dovere...
Gesù è stato chiaro: chi ama deve arrivare a sacrificare anche la vita per tutti i propri fratelli. E sottolineo “per tutti”: anche per coloro che non conosciamo, che non ci sono simpatici; anche per coloro che ci crocifiggono e che preferiremmo evitare. L'amore che Gesù ci chiede è esattamente quello del samaritano. Un amore che vede, si accorge, ha compassione, si fa vicino; un amore che soprattutto interviene subito, in prima persona: fascia le ferite all'uomo dopo averle pulite con olio e vino, lo carica sul somaro, lo porta al pronto soccorso, sta con lui fino al giorno dopo. Un amore insomma che si preoccupa della soluzione completa del problema. È questo, fratelli, il comportamento che ci chiede Gesù. Non lo scarto, non le mezze misure, non i ritagli di tempo tanto per…, ma il meglio, il tutto. Con tutti. Ogni giorno. Dovunque.
Perché? perché l'amore è da Dio, l'amore è Dio stesso; e se vogliamo che Dio sia presente in noi e intorno a noi, dove viviamo, lavoriamo, dove preghiamo, dove ci muoviamo, dobbiamo semplicemente amare così. Le chiese, le pratiche di pietà, le attività pastorali, i gruppi parrocchiali, servono soltanto se sono un mezzo per praticare questo amore “speciale”. Se al contrario sono occasioni per coltivare il nostro orgoglio, i nostri personalismi, se si riducono a fonti di maldicenze, di critiche, di cattivi esempi, diamoci un taglio: facciamo una bella pulizia, rovesciamo (come ha fatto Gesù all’ingresso del Tempio) qualche bel tavolino con i suoi infedeli gestori, fosse pure quello della “Caritas”! Dobbiamo tener sempre presente che il volontariato stesso è un corollario dell’amore, un veicolo dell’amore, ma non è l’amore: dobbiamo noi trasformarlo in amore; né più né meno come succede con l’automobile: è costruita per correre, per muoversi velocemente, ma non lo farà mai se non saremo noi a metterci benzina e a guidarla.
«Amatevi gli uni gli altri». Non è un consiglio, fratelli: questo è un comandamento! È il comandamento! Per cui la messa, il volontariato, le opere parrocchiali e tutto il resto, sono soltanto un dono, la possibilità che ci viene offerta per riuscire a metterlo in pratica.
Può anche sembrarci strano che l'amore, di sua natura oblativo, ci venga imposto, comandato. Noi pensiamo infatti che non si possa coniugare imposizione e amore, obbligo e spontaneità. Invece Gesù qui condiziona l’amore all’obbedienza: dobbiamo cioè amare come risposta ad un suo ordine ben preciso.
Questo comandamento però mette in gioco due elementi: forza e amore: ci impone cioè di combattere con la forza dell'amore, l'amore per la forza. Perché, fratelli, l'amore per la forza è l'ultimo amore che resta prima di raggiungere il nulla, prima cioè della nostra autodistruzione. Invece la forza dell'amore, Gesù ce l'ha dimostrata con la sua passione e morte, foriera di gloria e risurrezione. Così adesso può dirci: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati». Non si tratta più quindi di un “comandamento” dall'esterno che ci impone l'impossibile, bensì di una esperienza di amore donata dall'interno; un amore pertanto che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri. Si, fratelli, perché l'amore cresce attraverso l'amore. L'amore è “divino” perché viene da Dio e ci unisce a Dio; e mediante questo processo unificante, ci trasforma in un “Noi” che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a quando, alla fine, Dio sarà “tutto in tutti”.
Accogliamo quindi con obbedienza di figli questo amore che viene da Dio e ad esso rispondiamo con l'adesione della nostra fede e con la pratica delle buone opere, che Dio ci chiede, per essere i suoi fedeli testimoni. Torniamo alle origini, fratelli miei. Torniamo al tempo in cui dicevano di noi: “Guardate come si amano”. In questo modo, già fin d’ora, la gioia vera di Gesù sarà in noi, e questa nostra gioia sarà piena. Amen.

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