mercoledì 1 febbraio 2012

5 Febbraio 2012 – V Domenica del Tempo Ordinario

«La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva».
Il vangelo di oggi ci offre l’opportunità di fare una serie di considerazioni. Siamo sempre in Galilea, nella cittadina di Cafarnao, dove Gesù ha fissato la sua provvisoria dimora; e qui passava i suoi giorni “insegnando” e “guarendo”.
A questo punto Marco ci offre una notiziola, un piccolo spaccato di vita privata. Che succede? Gesù ha appena finito di parlare nella Sinagoga, e viene sollecitamente informato che la suocera di Simone è a letto con la febbre, gravemente malata. Una innocente annotazione, che però ci rivela un particolare della vita privata di Simone, il pescatore che poco prima aveva abbandonato il suo lavoro per seguire Gesù: che cioè è sposato, ha una famiglia da mantenere, possiede una casa, in cui abita con la moglie e la suocera. Quest’ultima dunque sta male, è a letto con la febbre, e per Gesù, che guarisce chiunque incontra nel suo cammino, è assolutamente naturale correre a casa di Simone e guarire la sua parente. Un normale fatto di vita quotidiana che potrebbe anche esaurirsi qui, se non fosse per un particolare che mi ha incuriosito e che mi ha spinto ad andare oltre: la “malattia” della suocera.
Marco parla di “febbre”: una febbre così alta da costringerla a letto. Ora, leggendo il testo, penso che sarà successo anche a voi di domandarvi quale fosse in realtà la vera causa di questa “febbre”. La risposta è facilmente intuibile: se pensiamo infatti che il genero di questa poveretta, l’unico uomo di casa, poche ore prima, per seguire Gesù, aveva piantato reti, barca e lavoro, distruggendo così, in un istante, la tranquillità e la sicurezza della loro esistenza, arrivando addirittura a togliere materialmente, a lei e a sua figlia, il pane di bocca, beh, i motivi per farsi cogliere da un febbrone, questa povera suocera, li aveva proprio tutti. “Ma che sta facendo questo scriteriato di Simone? È diventato matto? Come facciamo noi ora? Non siamo mica ricche noi! Non può certo permettersi una cosa del genere! Come camperemo? Sarà per caso questo Gesù che ci darà da vivere? Non si rende conto che si sta esponendo alle critiche della gente e della sinagoga? Questo Gesù per il quale lui stravede, si è già messo contro la sinagoga, e molti dicono che fa cose “pericolose”; dicono addirittura che guarisca i malati in nome del “demonio”. Possibile che quel credulone di mio genero si lasci abbindolare da un tizio come questo? Io mi vergogno perfino ad uscire di casa! Qui le cose si mettono veramente male!”. E questa poveraccia, angustiata continuamente da tali preoccupazioni, peraltro giustificabilissime, impotente di fronte alla decisione già presa dal genero, viene colta improvvisamente da un febbrone da cavallo.
La parola greca “pir” (da cui “pirèssusa” nel testo originale), indica appunto “fuoco”; e in senso derivato, “febbre, calore, alterazione”. La suocera è pertanto “infuocata”, alterata; altro che “febbricitante”, è piena di rabbia, furiosa; e più che con Simone, che considera una testa calda, un credulone, lo è soprattutto con Gesù, che considera la causa scatenante di tale situazione.
La sua “febbre” non è altro che un segnale della sua lotta interiore, è sinonimo di “rabbia” che cresce sempre più col passare delle ore; è un cartello che dice chiaramente “qui c’è guerra; state attenti!”; è il segno esteriore di quella sofferenza interiore che gli sconquassa l’anima e che ancora non riesce a buttar fuori con le parole.
Dunque la suocera sta male. E Gesù che fa? Appena lo avvisano del malessere di questa povera donna, corre subito a trovarla. Egli ha intuito immediatamente la situazione, ha capito al volo la vera causa della sua malattia. Poteva far finta di niente; poteva tranquillamente dire: “Beh, se ha qualcosa contro di me, venga a dirmelo di persona! Sono problemi suoi, non miei!”.
Ricordate invece cosa ci dice Gesù? “Seti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” Mt 5,23s). E questo è esattamente il comportamento coerente di Gesù: egli corre e va subito da lei.
Primo insegnamento: nutriamo rabbia, risentimento, odio, nei confronti di qualcuno? Non perdiamo tempo; andiamo noi da questo qualcuno, chiariamoci, confrontiamoci con lui. Perché, fratelli miei, l’odio genera altro odio e il fuoco della rabbia dissecca il cuore e acceca l’anima.
Gesù, ci dice il vangelo, «si accostò, la sollevò e la prese per mano».
“Si accostò” (prosèrchomai) vuol dire esattamente “farsi vicino”. Fra i due c’era distanza, ma Gesù si fa vicino, riduce la distanza, prende lui l’iniziativa e la incontra. “La sollevò” (egheiro, “alzarsi, svegliarsi, sollevare, risorgere”): la donna è distesa, non vuole avere a che fare con Gesù, ma Gesù le parla, le sta vicino, finché la donna gli dà ascolto e “si solleva” dalla sua paura che la domina e dalla preoccupazione per ciò che sta accadendo.
“La prese per mano”: il verbo greco “krateo” vuol dire “dominare, impadronirsi, impossessarsi, avere potenza”. Gesù vuole incontrarla, toccarla, perché vuole che questa donna “senta” chi è lui, che possa “farne esperienza” di persona, che lo possa “conoscere”, “impadronirsi” di lui. Da questo verbo deriva anche la parola “cratere”: la donna è un cratere pieno di fuoco e nella sua debolezza potrebbe esplodere; Gesù, invece, è un cratere di energia, la sua “lava” è vitale, non rimane dentro covando odio, ma si espande benefica, trasformandosi in amore, in tenerezza, in attenzione per l’altro; riducendo, annullando, la distanza che esiste con lui. A questo punto cosa accade tra Gesù e la suocera di Simone? Non sappiamo cosa si siano detti o cosa sia esattamente successo. Ma dalle poche parole del vangelo capiamo che Gesù, sentito il risentimento della donna, ha preso l’iniziativa è andato da lei, piano piano le si è avvicinato, le ha parlato; finché la donna ha capito che quell’uomo non è né un pazzo, né un fuori di testa. E lo ha accolto. Anzi, come sottolinea il vangelo, si è subito alzata ed ha iniziato a “servirli”.
Tutta la sua rabbia, il suo astio, improvvisamente sono scomparsi. Appena incontra Gesù, in lei avviene una trasformazione radicale: il suo è un passaggio simultaneo dall’ignorare Gesù, al mettersi a suo servizio; dall’odio profondo, all’amore assoluto per quest’uomo; dal volergli stare il più lontano possibile, al volergli stare sempre vicino; dal considerarlo come un nemico, al sentirlo come un amico, uno affidabile,uno su cui può contare, che è sempre con te e per te.
Secondo insegnamento: finché la donna combatte Gesù, non può guarire. Ma quando lo ascolta, lo comprende, quando si lascia toccare da lui, quando ascolta le sue ragioni, allora tutto il suo fuoco, la sua febbre e il suo odio, scompaiono.
A volte noi proviamo rancore verso i nostri fratelli, perché siamo concentrati unicamente su noi stessi: non ci mettiamo nei panni degli altri, non vogliamo ascoltarli, non vogliamo sentire le loro ragioni. Vediamo solo noi stessi e sentiamo solo il nostro dolore. Ma se riusciamo a comunicare il nostro dolore, le nostre ragioni, la nostra parte (e se loro si lasciano toccare da ciò), allora stabiliamo con loro un contatto e sarà possibile incontrarsi; e tutte le ragioni del nostro odio finalmente cadranno.
Anche quando qualcuno ce l’ha con noi, cosa possiamo fare? Come dobbiamo comportarci quando qualcuno è arrabbiato con noi? Beh, la prima reazione, quella naturale, è di stargli più alla larga possibile. Ma questo crea altra diffidenza, ingigantisce la distanza.
Impariamo invece da Gesù. Egli fa due cose.
La prima: prende lui l’iniziativa e va di persona. Spesso noi rimaniamo nella nostra rabbia, facciamo gli offesi e diciamo: “Deve venire lui da me! Con quello che mi hai fatto è il minimo che possa fare!”. Quando si è feriti è normale chiudersi: ma se rimaniamo chiusi nel risentimento non c’è possibilità di incontro; se ci chiudiamo nel silenzio e ci rifiutiamo di parlare, non risolviamo nulla.
La seconda: usa tenerezza e amore. In fin dei conti Gesù capisce le ragioni di questa donna: sa che è arrabbiata perché non lo conosce; perché lui ha un suo modo di vivere che non è “come quello di tutti”; perché Simone ha fatto una scelta radicale e difficile, contraria al buon senso, che lei non arriva ancora a capire.
Ebbene fratelli: nel mondo c’è tanta rabbia e tanto dolore: è una prerogativa della umana esistenza. Quando una persona è arrabbiata, vuol dire che nel suo intimo è ferita; e con una persona ferita, dobbiamo avere tanta comprensione, tanta delicatezza, tanta cura: altrimenti non riuscirà mai ad aprire il suo cuore. Dobbiamo ascoltarla, questa persona; dobbiamo sentire le sue ragioni e soprattutto dobbiamo capire il suo dolore. Se rimaniamo nel piano della rabbia, ci facciamo solo la guerra; se invece ci incontreremo nell’amore, allora ci capiremo, allora non saremo più indifferenti gli uni con gli altri.
Così faceva Gesù per le strade della Palestina. Tutti i giorni, per tutto il giorno.
Ma da dove prendeva tanta forza, il Signore, per riuscire ad accogliere tutti, ad ascoltarli, a guarirli? Da dove prendeva tanta energia per fare della sua vita un “annuncio” costante?
Dalla preghiera, fratelli. Da una preghiera lunga e attenta, che gli permetteva di capire la volontà del padre. Una preghiera che stupisce e affascina tutti, i discepoli e noi. Una preghiera che non è la lista della spesa da presentare a Dio, quando le cose non funzionano, ma il dialogo intimo e intenso di chi si lascia plasmare. E poiché la giornata è frenetica anche per Lui, Gesù prega di notte.
Così faceva Gesù; così dobbiamo fare anche noi, se vogliamo seguirlo come Simone e i discepoli. Rubiamogli questo suo grande “segreto”: poniamoci anche noi umilmente in un costante, intimo colloquio col Padre, che ci permetta di fare sempre della nostra vita un dono agli altri. Amen.


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