martedì 3 gennaio 2012

8 Gennaio 2012 – Battesimo del Signore

«Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni».
Con la festa del Battesimo di Gesù, concludiamo il Tempo liturgico del Natale. Da domenica prossima entreremo nella prima parte del Tempo Ordinario, che terminerà con l’inizio della Quaresima.
Oggi, il vangelo ci ripropone la figura del Battista che parla di un battesimo d’acqua, preannunciando un battesimo in Spirito Santo per mano di uno “più forte di me”, che “verrà dopo di me”.
Gesù si fa dunque battezzare da Giovanni Battista con un battesimo d’acqua. Un rito con cui Egli simbolicamente ri-nasce: non a caso, infatti, il suo immergersi nel Giordano (yared, battezzare, in ebraico significa immergere) viene messo come inizio della sua vita pubblica.
Anche per noi, il battesimo d’acqua segna l’inizio della vita, la nostra nascita alla fede, ma sarà poi il battesimo di fuoco che ci renderà veri credenti. Ciò che siamo chiamati a fare è pertanto di uscire dall’anonimato, dall’essere come tutti (che equivale ad essere nessuno) e di darci un “nome”, un carattere, una fisionomia adulta; dobbiamo cioè testimoniare esattamente chi siamo: e questo è il nostro battesimo di fuoco.
Con il battesimo d’acqua semplicemente “nasciamo”, con il battesimo di fuoco diventiamo chi dobbiamo diventare: ossia dei cristiani pronti a testimoniare con la vita quanto credono e come credono; quanto siano fedeli a ciò in cui credono e che li appassiona dentro.
La chiamata (battesimo d’acqua) dei grandi personaggi della Bibbia, quella vera, quella di Dio, è sempre accompagnata da cammini, prove, viaggi difficili, duri, faticosi, durante i quali Dio forgia e purifica il suo prediletto: Noè deve costruire l’arca tra la derisione di tutti; Abramo deve partire senza conoscerne il motivo; Mosè deve attraversare il Mar Rosso e il deserto; Giobbe e Tobia compiono dei viaggi difficili e pericolosi. Sono le premesse che portano necessariamente alla purificazione, al fuoco.
La radice ebraica di “fuoco” (a-sc) è presente sia nella parola uomo (a-i-sc) che donna (a-sc-ha). Quindi, per diventare noi stessi, non importa se uomini o donne, per realizzare la nostra missione di credenti, dobbiamo necessariamente passare attraverso il fuoco.
Gesù stesso dirà: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e vorrei davvero che fosse già acceso! Ho un battesimo da ricevere (il battesimo di fuoco), e grande è la mia angoscia finché non l’avrò ricevuto. Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione…” (Lc 12,49-51).
Il vero battesimo, pertanto, sta nella nostra vita concreta, consiste nel nostro forgiarci, nel nostro costruirci, nel nostro andare verso noi stessi e gli altri.
Allora, fratelli, dobbiamo smetterla di pensare o di credere che essere cristiani voglia dire essere semplicemente battezzati. Quando fanno le inchieste e ci dicono che il 95% degli italiani sono cristiani, è falso. Il 95% saranno quelli battezzati con l’acqua; ma “essere” cristiani è un’altra cosa, vuol dire passare attraverso il battesimo del fuoco.
La gente crede ancora che “seguire Gesù” sia qualcosa di comodo, di tranquillo, di indolore; che sia sufficiente qualche pratica, andare a messa ogni tanto o dire qualche preghiera.
Nossignori, seguire Gesù è fuoco. È passione che brucia dentro; che non ci permette di rimanere indifferenti di fronte alle ingiustizie che vediamo, di fronte ad una società che uccide l’anima degli uomini, di fronte a genitori scriteriati che trattano i propri figli come se fossero delle belle marionette o dei burattini.
Seguire Gesù è passione che ci spinge ad uscire, ad esporci, a non stare zitti. Potremmo tranquillamente starcene in disparte e farci gli affari nostri, e invece no; dobbiamo metterci in gioco, rischiando in prima persona.
Seguire Gesù è fuoco purificatore che brucia tutto ciò che di impuro c’è dentro di noi. Allora ci accorgiamo che siamo noi, e non gli altri, gli invidiosi; siamo noi quelli in continua competizione, siamo noi i gelosi. Che siamo noi, e non gli altri, a non amare i fratelli; che siamo sempre noi a voler possedere, gestire, manipolare. Infine, che noi, e non gli altri, abbiamo bisogno di umiltà per cambiare, per crescere, per modificarci.
Purtroppo non è facile cambiare, fratelli miei. Non è piacevole scoprire certe meschinità dentro di noi. Per questo seguire Gesù sarà sempre difficile, impegnativo, un lavoro continuo. Nessuno mai ha detto che sarebbe stato facile! Però che sarebbe stato entusiasmante, passionale, eccitante, caldo, che ci avrebbe dato la sensazione di vivere in profondità, che la nostra vita avrebbe avuto finalmente un senso, sì, questo sì ci è stato detto e dimostrato, da uno stuolo di santi.
Dostoevskij scriveva: “Senza la sofferenza non potremmo mai capire la felicità. Un ideale passa sempre per la sofferenza, come l’oro per il fuoco. Solo con lo sforzo, con il fuoco, si può raggiungere il regno dei cieli”.
È il fuoco della prova, fratelli. Gesù ci saggia, ci purifica con il fuoco, ci fa passare per incroci pericolosi ed esigenti. Gesù ci toglie in questo modo tante nostre illusioni, tanti nostri miraggi e le bugie che ci raccontiamo. Un amico vescovo, rievocando un giorno la comune infanzia, mi disse di un nostro compagno, allontanatosi poi dalla fede: “Pensavo che il suo essere buono, allegro e propositivo dipendesse da una fede forte; invece, evidentemente, godeva solo di ottima salute!”. Facciamo allora in modo, fratelli, di non far dipendere il nostro credo dai bioritmi, da oroscopi idioti, dai falsi richiami, dai falsi entusiasmi, dai falsi stati d’animo, che poi finiscono sempre per rivelarsi frutto di autentiche paranoie! Il battesimo e la fede sono cose serie!
Abbiamo detto che la parola greca baptizein (yared in ebraico) vuol dire immergersi, entrare dentro: in questo senso, possiamo ricavarne un doppio significato, un doppio insegnamento, un doppio comportamento: uno ad extra, l'altro ad intra.
Nel primo caso “immergersi” significa “entrare dentro la vita degli altri”, non sottrarsi alle esigenze e alle chiamate di vita del nostro prossimo. Con il battesimo di fuoco dobbiamo dare forma alla nostra energia interiore, dobbiamo far uscire la passione che ci anima dentro, farci travolgere dallo zelo, e riversarlo sugli altri. Significa essere aperti. Quanti di noi invece, fratelli miei, non hanno più fuoco, non hanno più anima, non hanno più nulla, dentro di loro, da spendere per gli altri; niente di niente. Sono spinti in avanti solo dall’inerzia di una vita inutile, che si trascina stancamente giorno dopo giorno, nella routine delle solite cose. Immergersi nella vita di chi ci sta intorno, significa al contrario immergersi nella solidarietà, calarsi nelle singole situazioni. Quando succede un fatto, molti dicono in cuor loro: “Non è affare mio, si arrangino. È un problema che non mi riguarda”. Ebbene, questo non è “immergersi”, fratelli; immergersi vuol dire: “Ciò che è toccato a te, mi riguarda eccome, mi interpella direttamente; non posso rimanere indifferente, non posso chiudere gli occhi e far finta di niente”. Essere “solidali” comporta un nostro preciso atteggiamento: “Io ci sono. Io ti aiuto. Io sono dalla tua parte; perché ho un cuore che brucia, che batte prepotentemente, che ama, che si appassiona”.
Il cristiano, il battezzato, non può rimanere indifferente. Deve anzi scendere con decisione dalle sue sicurezze, dal suo io, dal suo egoismo; e darsi da fare!
Nel secondo caso, l'immersione battesimale sta per “entrare dentro la nostra anima”, scendere in profondità, nell'intimo del nostro cuore, individuare i nostri demoni, conoscerli, guardarli bene in faccia, confrontarsi con loro.
Non a caso anche Gesù, subito dopo il battesimo e prima dell’attività pubblica, ha dovuto affrontare le tentazioni. Anzi Marco ci dice che fu lo stesso Spirito del battesimo a spingere Gesù nel deserto (Mc 1,12), nella solitudine, perché si immergesse nei suoi demoni e potesse confrontarsi duramente con loro.
E noi, siamo forse speciali? No fratelli, anche noi dobbiamo saggiare le nostre forze, anche noi dobbiamo fare i conti con le nostre deformità, con le nostre inclinazioni malvagie, con le nostre debolezze; dobbiamo conoscerle bene, dobbiamo capire perfettamente quante e quali sono, per poterle combattere strategicamente e uscirne vittoriosi. È questo che ci richiede il nostro vero battesimo, quello di fuoco.
Del resto tutti abbiamo i nostri demoni più o meno nascosti (io ho i miei, e vi assicuro che a volte ne esco con le ossa rotte, con tremende batoste). Tutti noi, nessuno escluso, abbiamo una seconda facciata: quella segreta, privata, nascosta, quella che non vorremmo che gli altri vedessero mai, quella di cui molto spesso ci vergogniamo. È proprio su questa che dobbiamo lavorare sodo. È in questa che dobbiamo immergerci, per scavare, setacciare, lavare, purificare.
Lo so, è duro, fratelli, è difficile; è come passare attraverso le fiamme. Ma è da lì che dobbiamo passare. È lì, nel nostro Giordano, che dobbiamo immergerci; è lì, nel nostro deserto, che dobbiamo batterci con i demoni infidi. Perché fintanto che non li avremo individuati, affrontati e soggiogati, saranno sempre loro ad averla vinta, a dominarci; saranno loro, in definitiva, a cantare vittoria. Ripeto: non sarà affatto piacevole, anzi sarà come scendere all’inferno, ma quella è l’unica nostra possibilità.
Oggi dobbiamo dunque ri-attizzare il nostro battesimo di fuoco: dobbiamo ridargli forza e ossigeno, perché è solo così che, con la forza di Dio, dopo anche lunghe battaglie, ne usciremo sicuramente vittoriosi. Non solo vittoriosi ma completamente trasformati, grandi.
Perché, nell’ottica divina, essere “grandi” non significa essere perfetti, ma dimostrare di conoscere bene i propri demoni, il proprio niente. Essere “grande”, non significa non sbagliare mai, ma avere l’umiltà di riconoscere i propri errori. Non è andare avanti, sempre uguali, tanto per andare avanti, ma avere il coraggio di cambiarci. Dio non ci ama perché siamo perfetti, no; Dio ci ama per quello che siamo: deboli, a volte spazzatura, ma combattivi, reattivi. Gente umile ma tosta, che non si arrende mai, che ricomincia sempre daccapo, che pur di crescere in Dio, non teme il fuoco della purificazione, come l’oro nel crogiolo!
«Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Il punto centrale del battesimo di Gesù non è come per l’uomo la liberazione dal peccato originale, chiaramente incompatibile con la sua natura divina, quanto l’esperienza della Voce del Padre: una esperienza che è stata decisiva per la vita di Gesù, ne ha causato la svolta: l’essersi cioè percepito Figlio del Padre, Figlio amato, prediletto, unico.
Voce e parole che Gesù risentirà identiche nella Trasfigurazione, altra esperienza forte di Dio nella sua vita umana. E per questo, rivolgendosi al Padre, Egli lo faceva dicendogli: “Padre, Abbà, papà mio”.
Gesù aveva un rapporto confidenziale con Dio, perché si sentiva amato da lui. Non lo sentiva come un superiore, come uno da temere e a cui tenere nascoste certe cose o fargli vedere solo la faccia bella, quella buona. Era suo padre e Gesù si sentiva amato e al sicuro con Lui.
Bene, fratelli: quello che qui è detto per Gesù vale per noi.
Tutti siamo infatti figli di Dio, i prediletti. Tutti, indistintamente, siamo i figli amati: 
“Tu sei amato…; tu ai miei occhi sei grande…; tu sei mio figlio prediletto…; non ti lascerò…; tu sei importante per me…; ho dato la mia vita per te…; non ti abbandonerò…; non sfuggirai dalla mia mano…; nessuno ti porterà via da me…; per quanto tu vada lontano io rimarrò sempre tuo padre e tua madre, e tu sarai sempre mio figlio…; tu non sei come nessun altro: tu sei unico per me…; qualunque cosa ti succeda, non aver mai paura, perché io sono tuo Padre…”.
Ricordate? Sono parole sue: ora, se credessimo veramente a queste parole, fratelli, niente e nessuno potrebbe mai farci paura: chi dovremmo mai temere?
L’amore umano, anche il più grande, pone sempre delle condizioni. Quello di Dio no. Il suo non è mai condizionato o condizionante. Dio non è come l’uomo. Perché Dio ci ami, noi non dobbiamo diventare chissà cosa o chissà chi; per andare bene a Dio, non dobbiamo avere successo e ricchezze, né dobbiamo diventare qualcosa di diverso da noi stessi. Non dobbiamo comportarci bene davanti agli uomini, perché Dio ci ami; non dobbiamo rinunciare alla serenità e alla felicità, perché Dio ci ami; lui ci ama comunque, per quello che siamo, nonostante tutto, così come siamo. Punto.
Dio è nostro Padre e nostra Madre: a Lui possiamo raccontare tutto; anche ciò di cui più ci vergogniamo, anche ciò che più ci fa male, ci ripugna, ci fa schifo. Lui ci ama lo stesso. Anzi ci ama di più; un po’ come quella madre che ama tutti i suoi figli, ma riserva più affetto e più cure a chi è ammalato.
È difficile per noi, fratelli miei, credere e capire che Dio ci ami così, al di là di tutto, proprio di tutto! Certo, noi vorremmo che Lui ci amasse, ma non vorremmo scoprirci, non vorremmo fargli vedere i nostri lati deboli, le nostre miserie: le cose di cui ci vergogniamo… gli errori del passato… le infedeltà… i peccati… l’odio che coviamo per molte persone… la rabbia furiosa che ci cova dentro… le nostre piccolezze o meschinità… il nostro rifiuto nei suoi confronti….
Ci rendiamo conto che il problema non è Lui, con il suo amore comunque assicurato; siamo noi, che siamo restii a farci amare. Non è lui che non ci accetta, ma siamo noi che, conoscendoci, non ci sentiamo a nostro agio, ci vergogniamo di tanta bontà. Insomma, ci rendiamo conto che anche lasciarci amare da Dio, per noi è difficile; perché è difficile, nel nostro niente, nella nostra mentalità contorta, credere ad un amore incondizionato, disinteressato, ad un amore fedele per sempre, ad un amore in cui noi non dobbiamo fare nulla, ad un amore granitico che non ci tradirà e non ci abbandonerà mai. È proprio così, fratelli! Siamo noi il problema. Allora fidiamoci, chiudiamo gli occhi e abbandoniamoci, completamente; ascoltiamo con Gesù la voce suadente del Padre che ci dice: Tu sei il mio figlio prediletto. Sì, fratelli, Dio è nostro Padre; e noi siamo tutti figli suoi! Amen.


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