martedì 9 agosto 2011

14 Agosto 2011 – XX Domenica del Tempo Ordinario

Il vangelo racconta di una madre che è in ansia per la sorte della figlia. Gesù ha appena concluso una discussione con i farisei su che cosa sia puro o impuro. I farisei ne facevano una questione formale, di regole, di leggi, e Gesù aveva tagliato corto: “Non sono le cose o i comportamenti che sono puri o impuri, è il cuore, è l'intenzione con cui fai le cose che le rende pure o impure”. In altre parole, riferito ai nostri giorni, frequentare la chiesa non è determinante per stabilire se siamo o non siamo buoni cristiani: tutto dipende dalle nostre intenzioni, dal nostro cuore, da ciò che abbiamo dentro, da ciò che viviamo. Un principio che Gesù verifica subito anche nei confronti della donna del vangelo di oggi.
Siamo in territorio pagano, nella zona di Tiro e di Sidone. Lungo la strada Gesù incontra dunque questa donna che gli chiede aiuto, ma Egli sembra non accorgersene, non si degna neppure di ascoltarla e continua per la sua strada. Strano comportamento, non vi pare? Decisamente inconsueto per Gesù. Con gli stessi discepoli che gli chiedono di esaudire velocemente le richieste della donna, quantomeno per farla smettere di seguirli e di gridare, Gesù adotta un modo di esprimersi in stridente contrasto con le sue abitudini.
Beh, noi ci saremmo senz’altro aspettati che Lui la ascoltasse secondo il suo solito, che accogliesse le sue richieste, che fosse più buono con lei. E invece no! Gesù vede le cose con altri occhi rispetto ai nostri: e ce lo fa capire subito, tornando al senso della discussione con i farisei di poco prima: non basta cioè desiderare di cambiare, di uscire da certe situazioni, avere ottime intenzioni. Bisogna essere convinti, consapevoli di ciò che si vuole o non si vuole, essere pronti ad accettare tutte le conseguenze e quindi agire coerentemente. Il desiderio, anche se forte, non basta, non è sufficiente.
Se Gesù avesse esaudito subito questa donna, nessuno avrebbe capito se era sincera o meno, se voleva a tutti i costi la guarigione della figlia, oppure se si comportava così, tanto per mettere Gesù alla prova; se aveva fede a sufficienza, se era pronta ad affrontare qualunque contrarietà, qualunque umiliazione, pur di ottenere quello che chiedeva. Per questo Gesù esaspera qui la situazione: adotta cioè lo stesso modo di ragionare del suo tempo, secondo cui i pagani (e questa donna era pagana) rispetto agli ebrei, “popolo eletto”, erano né più né meno dei “cani”, una razza inferiore, passibili quindi di ogni disprezzo. Ecco l’insegnamento: come ebreo, Gesù ha voluto premettere alla sua successiva azione salvifica, un richiamo esplicito a tale mentalità preconcetta ribadendo appunto che la sua opera messianica era riservata esclusivamente “alle pecore perdute della casa d’Israele” per dimostrane poi con i fatti l’assoluta incongruenza. Come se volesse dire: “È chiaro fin qui? Sono in linea con le Scritture e la tradizione? Bene: da qui in poi vi dimostro il nuovo della mia missione: per me, pagano o ebreo che sia, non fa alcuna differenza; tutti meritano la mia attenzione, ma ad una condizione: che le loro parole siano coerenti con quello che pensano; tutti sono uguali ai miei occhi; ma l’importante, l’essenziale, è che lo spirito con cui essi si rivolgono a me nell’affrontare i casi della vita, sia sincero, senza secondi fini; perché è il loro retto comportamento, le loro oneste intenzioni, la sincerità dei loro cuori che li rendono graditi ai miei occhi”. Ecco la spiegazione. Gesù è un uomo libero, assolutamente libero: libero di mettere in discussione la propria tradizione, sia religiosa che sociale. E ne dà immediatamente la prova: appena la donna ha superato l’esame sulla sua sincerità, e tutti i presenti hanno potuto constatarne la “purezza”, la grande fede, udendo la sua risposta sui “cagnolini” che si accontentano di ricevere anche solo le briciole che cadono dalla tavola degli “eletti”, Gesù cambia improvvisamente atteggiamento: sembra quasi sorpreso, colpito, meravigliato. Come se dicesse: “O donna, mi hai conquistato, non l’avrei mai pensato, non l'avrei mai detto. Forse mi sono sbagliato sul tuo conto; sia fatto come tu chiedi”. La prova della donna è superata. La misericordia di Dio ha trionfato ancora una volta.
Possiamo cogliere qui, per inciso, un altro insegnamento di Gesù: Fratelli miei, se c'è da cambiare idea (e qui Gesù ha fatto vedere di averla cambiata!), se c’è da ricredersi rendendosi conto di aver sbagliato, ebbene, bisogna farlo! Non dobbiamo essere come quelli che rimangono sempre caparbiamente sulle loro posizioni, che non accettano mai, per principio, la possibilità che le cose possano essere diverse, che i tempi cambino, che le stesse persone e le loro opinioni cambino. Chi non cambia mai, non va mai a fondo nelle cose, vive in superficie. Le sue corte radici non lo alimentano, non vuole fare la fatica di cambiare. E così la sua mente muore. Morte infatti vuol dire rigidità, staticità, sepoltura, significa imbalsamare tutto, cose e persone. La vita invece è mutazione, è scorrere, é divenire. Niente è mai tutto uguale. Oggi non è ieri. Quest'estate non è quella dell'anno scorso. Nessun albero è uguale ad un altro. Chi ci sta vicino, genitori, figli, conoscenti, amici, confratelli o consorelle, a guardarli attentamente, non sono più quelli di sei mesi fa. Tutto diviene. Crescere è lasciarsi mettere in discussione. Chi cambia è sempre giovane. Chi cambia non si annoierà mai. Chi rimane sempre lo stesso è già vecchio. Chi rimane sempre lo stesso troverà scontata e insignificante la sua esistenza.
Ma torniamo al personaggio centrale del vangelo, alla donna Cananea, una donna straziata dalla sofferenza, che ci offre la chiave per altre considerazioni. La donna va da Gesù perché sua figlia è ammalata. Si sente in ansia per sua figlia. Questa donna ama sua figlia, non c'è dubbio, ma l'amore non basta. Bisogna fare qualcosa, bisogna far vedere praticamente come si ama. La figlia è ammalata e la madre dice a Gesù: “Pietà di me!”. La madre chiede perdono di sé o per sé? O questa madre è semplicemente stanca della vita d’inferno che la malattia della figlia gli ha creato? Oppure chiede perdono perché si rende conto che se sua figlia è così, lei in qualche modo ne è colpevole, lei c'entra? Queste parole ci fanno pensare proprio questo, che l'origine o la causa della malattia risieda nella madre. Del resto, quante madri si colpevolizzano per i fallimenti dei figli! E pensano: Se e quando la madre guarisce, quando la madre sarà perdonata per le sue deficienze e potrà guarire, anche i figli guariranno, perché è giusto che la persona che ne ha causato la malattia, sia la stessa che li porta anche a guarigione.
La donna cananea è decisa, forte, cocciuta, determinata. Va da Gesù e gli grida dietro. Ma lui si gira dall’altra parte e se ne va per la sua strada. Forse a noi sarebbe bastato questo rifiuto per desistere. Ma a lei no, lei continua a seguirlo e a gridare. I discepoli la giudicano con sufficienza e fastidio. Chi non si sarebbe sentito umiliato e svergognato, offeso e indignato? Ma lei non si arrende. Raggiunge Gesù, si butta a terra e implora. E lui le dice ancora di no. “Ma cosa vuoi da me?”. A questo punto delusione, rabbia, umiliazione, disperazione, avrebbero invaso il cuore di chiunque. Ma lei continua. Questa donna non teme il giudizio, non teme l'impopolarità, non teme la derisione. Questa donna è un gigante, un'eroina, una donna selvaggia che non si arrende e che per questa sua energia otterrà ciò che vorrà. È perché vuole con tutta se stessa la guarigione della figlia che alla fine l'avrà. È perché è disposta a tutto, anche di cambiare radicalmente, che sua figlia guarirà. Capito il messaggio?
Nel Padre Nostro, fratelli, Gesù ci raccomanda di pregare: “Sia fatta la tua volontà”. Ma di fronte a tanta fede, a tanta perseveranza, Gesù capovolge tutto: “Donna, sia fatta la tua volontà. Ti sia fatto come desideri”. Perché, come ho detto, desiderare è volere, è provarci con tutte le forze, è agire, muoversi, è fare tutto ciò che è possibile fare; è, come per questa donna, non vergognarsi di perdere la faccia; è cambiare idea su di sé, è trovare soluzioni creative, è vincere la paura di essere rifiutati (da Gesù), è piegare il destino, è credere fino in fondo, costi quel che costi. L’importante non è tanto “se” ci crediamo, ma “quanto” ci crediamo! Facciamo tesoro, fratelli, di questo importante e vitale insegnamento. Perché Gesù ci accorderà sempre quello che chiediamo, in base però a “quanto” e a "come" noi lo desideriamo e lo chiediamo. Amen.

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