mercoledì 1 giugno 2011

5 Giugno 2011 – Ascensione di nostro Signore

«Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Oggi la chiesa celebra la festa dell'Ascensione. Gesù lascia questa terra e sale al Padre; si ricongiunge con Lui. Un addio? Neppure per idea: «Io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo», ci rassicura; per cui oggi possiamo celebrare, oltre l’Ascensione in cielo, proprio la festa di questa “Promessa di Gesù”.
I pochi versetti della pericope di oggi, concludono il vangelo di Matteo. Costituiscono la sua sintesi dottrinale: per capire bene Gesù dobbiamo partire proprio da qui, dalla conclusione della sua vita terrena. Gesù, a causa della sua crocifissione e morte, sembrava un uomo finito, uno che aveva fallito in pieno la sua missione. E invece è proprio da qui che incomincia il suo nuovo modo di esistere su questa terra. Gesù non c'è più ma ci sono gli apostoli. Gesù non c'è più, ma c'è la Chiesa. La Chiesa infatti è la presenza di Gesù nel mondo: Lui “ascende” al cielo, se ne ritorna lassù da dove era venuto, e lascia noi qui in terra, noi, i “nuovi Gesù”.
In questo passo Matteo, in verità, non fa alcun cenno all'Ascensione. Non la nomina neppure. A differenza di Luca, che nel suo Vangelo e negli Atti ne parla ampiamente, non spende una parola per questo evento importantissimo. Si limita a scrivere che Gesù (risorto ovviamente) appare agli undici e dice loro alcune cose prima di andarsene. È una scena di congedo: Gesù se ne va e lascia le sue ultime raccomandazioni, le più importanti, un po' come quando uno muore e lascia il suo testamento spirituale, le sue parole più preziose, che sintetizzano i comportamenti e gli insegnamenti di una vita intera.
Matteo apre dunque il racconto dell’incontro dei discepoli con Gesù in Galilea, sottolineando un loro doppio stato d’animo, un comportamento quanto meno contrastante: dapprima “si prostrano” per adorarlo, ma subito dopo “dubitano” di lui: sembra casuale, ma in effetti è una annotazione magistrale, perché rappresenta esattamente i due volti della Chiesa, il duplice modo di rapportarsi dei cristiani della Chiesa di allora, di oggi, di ogni tempo, nei confronti di Dio: ci sono persone che lo sentono vicino, vivo, presente e dentro la loro vita; ci sono invece altre che dubitano, che sono scettiche, che non si lasciano coinvolgere; interesse e disinteresse: sono due stati d’animo comuni all’uomo. Per questo la chiesa, fatta di uomini, non potrà mai essere l'unione di persone che credono in Dio, tutte allo stesso modo e allo stesso grado. Anni e anni di storia ce l’hanno dimostrato. Noi stessi abbiamo degli alti e bassi: in certi giorni siamo all’apice della fede, crediamo in maniera forte e convinta, in certi altri l'esperienza di Dio si affievolisce, diventa tiepida e vacillante. In certi giorni diciamo: “Dio c'è, lo sento, lo vedo, è vero!” E in altri dubitiamo: “Ma, dove sei? Perché mi fai questo? Che ti ho fatto di male? Perché non rispondi? Perché mi abbandoni?”. La chiesa non sarà mai pertanto una organizzazione perfetta: è un gruppo in cammino, composto da persone deboli, instabili, che provano seriamente, anche se con risultati alterni, di vivere già in questa vita il regno di Dio.
«A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra». Gesù mette poi in chiaro le sue credenziali: chi è e che poteri ha. Egli è il Signore della storia, ed ha un potere assoluto su ogni cosa, su tutti gli eventi e su ogni uomo. Egli è la salvezza per tutti gli uomini, nessuno escluso. Dio è di tutti, Dio è per tutti. Nessun movimento, nessuna chiesa, nessun gruppo può avere in esclusiva la salvezza di Dio. Gli Ebrei stessi ne erano convinti; come pure i farisei che riconoscevano apertamente “noi abbiamo Dio per padre”; salvo poi a macchiarsi di parricidio, di deicidio, uccidendo Dio senza troppi scrupoli.
Ma qui, secondo me, Gesù voleva dire anche un'altra cosa: nelle grandi absidi delle chiese bizantine c'è sempre una grande icona chiamata “Pantocrator”; è Gesù, il Signore di tutte le cose, che governa, che regge, che ordina, giudica, salva il mondo; Egli è seduto in trono, con la mano destra benedicente, e con la sinistra sorregge la Bibbia: il Libro della sua Parola che interroga il mondo e la storia; che interroga ciascuno di noi e che noi stessi possiamo interrogare a nostra volta, per esaminarci e vedere se siamo degni della misericordia divina. “Pantocrator”: un Dio misericordia, ma anche un Dio giusto giudice che castiga. Verrà un giorno in cui saremo messi di fronte a Lui, davanti al suo trono, e ogni cosa che ci riguarda, anche la più segreta e nascosta, verrà resa pubblica: in quel giorno il nostro animo, la nostra coscienza, il nostro cuore, la nostra vita, verranno completamente denudate, svelate, manifestate a tutti. Allora noi ci vedremo, e saremo visti da tutti, per quello che realmente siamo. Ogni nostro bluff miseramente cadrà. Ogni nostra ombra, ogni ingiustizia, ogni menzogna sarà svelata ai quattro venti, ogni bugia scoperta, ogni inganno rivelato, ogni buio sarà messo in luce. Non solo sarà evidente ciò che abbiamo fatto, ma saranno svelati anche i motivi  segreti per cui lo abbiamo fatto. Tutto avrà un nome, tutto una sua fisionomia. Scopriremo allora che dietro a molte “cose buone” c'era solo falsità, ottusità, malevolenza; viceversa, dietro a molte “cose cattive”, scopriremo invece che si celava bontà, altruismo, preghiera, l’ascolto della Parola di Dio. Avremo tante sorprese, fratelli, in quel giorno. Garantito! Ecco perché è tanto importante, già da subito servire Dio, come merita: irrobustendo la nostra fede, vivendo la carità,  ascoltando la voce dello Spirito, accogliendo la presenza di Gesù in noi; Egli c’è: l’ha detto ed è di parola; ci sta sempre accanto, sta sempre nel nostro cuore: dobbiamo semplicemente ascoltare la sua voce. Non illudiamoci, non perdiamo tempo, fratelli, perché di tanta Grazia un giorno dovremo rendergli conto.
Gesù dunque sale al cielo e lascia gli Apostoli sulla terra. Prima era Gesù il responsabile, l'incaricato dell’ annuncio; ora lui non c'è più; ma c'è la Chiesa, fratelli, ci siamo noi, ci sei tu, ci sono io. Siamo noi i nuovi responsabili. Per questo dobbiamo esserne sempre all’altezza, dobbiamo chiederci continuamente: “Ma io… faccio vedere il Cristo? Lo annuncio? I miei comportamenti, i miei gesti parlano di Lui?”.  Capite l’importanza di questo passaggio di ruoli?
Da questo momento in poi, nulla si puà più lasciare al caso; la nostra vita non può essere più la stessa di sempre: essere “spirituali” a tutto campo, infatti, vuol dire anche essere concretamente “materiali”: cioè non possiamo rifugiarci soltanto nello spirituale, nella meditazione, nel colloquio estatico con Dio, ma dobbiamo prenderci cura di questo mondo, calarci in questo mondo, percorrerlo in lungo e largo annunciando il suo messaggio. Lui ce l’ha ordinato!
Sicuramente il mondo sarebbe molto più contento se noi ce ne stessimo per conto nostro, rinchiusi nelle nostre Chiese, impegnati nelle nostre preghiere, nelle nostre liturgie. Per lui l’importante è che noi ce ne stiamo lì, buoni. L’importante è che non usciamo dalle chiese, che non pretendiamo di immischiarci nei “suoi” problemi, di avere voce sul suo squilibrio, vorrebbe che stessimo muti di fronte alle sue conquiste genetiche, che non ci impicciassimo di politiche sociali, di famiglia, di unioni omosessuali e quant’altro; che stessimo zitti di fronte a lavoro nero e sfruttamento minorile. Solo in questo modo potremo essere accettati dai potenti della terra e solo in questo modo, come contropartita, forse interverranno alle nostre feste e parteciperanno alle nostre liturgie.
Ma questo non è il comportamento di Gesù: noi infatti dobbiamo continuamente chiederci: “Cosa farebbe Gesù qui ed ora?” E questo, siamone certi, è l'unico criterio di guida valido in ogni nostra iniziativa, in ogni situazione, di fronte ad ogni persona. Perché noi, fratelli,  siamo il Gesù di questo tempo: non dobbiamo dimenticarlo mai! Lui non c'è più, è vero, ma ci siamo noi per Lui, in Lui e con Lui. E se questa realtà non ci sta bene, beh, allora smettiamola di definirci “discepoli del Maestro”: smettiamola di ingannare noi e gli altri, perché in tal caso non siamo proprio nessuno.
C'è poi il grande invito: “Andate”. “Apritevi”. Una fede chiusa, circoscritta, è una fede morta. La vera fede invece è aperta, dinamica, va sempre avanti. La fede non può sopravvivere guardando solo al passato, fagocitata dalla storia, dal vissuto: il vangelo, la tradizione e il magistero ne costituiscono la base, i presupposti, è vero; ma devono essere anche la molla che la spinge in avanti, verso il domani, verso il futuro, per aprirsi verso il prossimo, espandersi verso gli altri. Solo così la fede produce i suoi frutti.
Pensate ad un padre o ad una madre. Un buon padre, una buona madre, amano sempre il proprio figlio ma in maniera diversa, a seconda dell'età e delle esigenze dei suoi anni. Ad un anno lo coccolano, lo baciano, sono tutti lì per lui. Ma a quindici anni lo devono amare in maniera diversa: concedendogli un po' di libertà, discutendo con lui, entrando magari in conflitto con lui, ma passandogli gradualmente libertà e autonomia. Guai se il padre e la madre amassero sempre nello stesso modo i loro figli, a quindici anni come a cinque. Padre e madre sono sempre padre e madre, ma non possono rimanere nei confronti dei figli sempre gli stessi, con la stessa mentalità, con gli stessi metodi. Sarebbe assurdo, antieducativo, non vi pare? Così marito e moglie sono sempre gli stessi, ma guai se si amassero sempre alla stessa maniera. Quando sono fidanzati si amano in un modo; quando sono sposati in un altro. L'amore è sempre lo stesso amore, ma sono le sue dimostrazioni che cambiano. Anche noi siamo sempre gli stessi, eppure cambiamo con gli anni. Hai voglia!
Tutto ciò che vive cambia, si evolve, va, diviene. Nulla resta immobile nella vita. Meglio: tutto può sembrare sempre uguale, ma nulla mai resta uguale. Anche nei nostri rapporti con Dio avviene così: Dio, è sempre Dio: ma la nostra risposta alla sua chiamata d’amore cambia in funzione dell’età, della sensibilità, della disponibilità. La nostra risposta è proporzionale alla nostra fede: per questo dobbiamo accrescerla, espanderla, approfondirla. Se la nostra fede non cresce, non si matura, non trova nuovi impulsi vitali, muore. Se la chiesa non si evolve, non cresce, non cambia rispetto ai tempi che mutano, muore. Ogni tempo ha le sue sfide. La chiesa statica, che non cambia, che non si accorge dei cambiamenti, delle pressanti necessità dei fedeli di ogni epoca, diventa insensibile, insignificante.
Guardate per esempio l'Europa: la nostra è una fede invecchiata, una fede che si è lasciata accantonare senza reagire, una fede che si trascina stancamente, sulle grucce: ha perso il suo smalto di entusiasmo che la rendeva raggiante, entusiasmante, non ha saputo rinnovarsi nei giovani, ha perso la grande occasione. Qui da noi, inutile ignorarlo, il cristianesimo sta passando, sta morendo, si sta annacquando, perché la fede non si è rinnovata, non è andata, non ha camminato. Per colpa di chi? Anche nostra, fratelli, anche nostra: perché anche noi non abbiamo saputo trasmetterla a sufficienza.
Ma torniamo al testo del vangelo. Cerchiamo di rivedere la scena: Gesù ha davanti i suoi: sono dodici, anzi undici perché uno lo ha tradito; uomini semplici, impreparati, timidi, gente che dubitava. Eppure Egli si è fidato pienamente di questo gruppo di poveri uomini. Un fatto peraltro che ha già avuto diversi precedenti nella storia del popolo di Dio. Un fatto che ci deve far sussultare di gioia, fratelli: sì, perché Dio oggi si fida anche di noi, si fida di discepoli poveracci come noi, si fida di me, di te. Forse prima non ci avevamo mai pensato bene: noi forse non ci conosciamo completamente, ma Lui che ci conosce a fondo, si fida di noi, così come siamo. Del resto è Lui che ci ha creati, e Lui sa perfettamente cosa ha creato. Per questo ci invita a non farci da parte, a non tirarci indietro, vuole che, fidandoci di ciò che Lui ha creato, riconosciamo la nostra dignità di cristiani battezzati. Se noi dicessimo: “Non valgo niente... che vuole da me questo Dio?... non ce la farò mai...”, noi nel nostro cuore bestemmieremmo. È come se dicessimo: “Se sono fatto così, è stato per errore. Dio quella volta era distratto, ha creato una nullità, un incapace”. Non vi sembra che manchiamo di rispetto a Dio? Possiamo noi dare a Dio dell’ingenuo? Se Egli ci ha creati così come siamo, come possiamo pensare che si sia sbagliato? Fratelli, c’è un termine di paragone che è sempre valido: “se crediamo di più in noi stessi, crediamo di più in Dio”. Se ci fidiamo di noi, ci fidiamo di Dio. I discepoli si sono fidati di Dio quando Lui li ha mandati: hanno fatto il salto nella fede, e sono diventati grandi.
«Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». È l’assicurazione sulla vita. È la promessa che conclude il vangelo di Matteo. In altre parole Gesù ci dice: “Nutritevi di me!” Pensiamo per un attimo al creato: tutti i giorni per crescere ha bisogno di alimentarsi, ha bisogno di aria, di sole, di cibo, di acqua. Anche l'amore ha bisogno tutti i giorni di cibarsi, di nutrirsi. L'amore di ieri, oggi non serve più. Oggi è un altro giorno. Il cibo di ieri è servito per ieri. Oggi serve quello per oggi. La fede vive in noi e si rigenera se tutti i giorni noi alimentiamo e nutriamo questo rapporto. Quante volte sentiamo la gente fare domande del tipo: “Ma perché andare in chiesa tutte le domeniche? Perché trovare tempo e spazio per pregare? Perché fare silenzio?”. È come chiedersi: “Perché parlarsi tra marito e moglie, tra genitori e i figli? Perché intrattenere rapporti di carità fraterna e di educazione con il prossimo, con i propri confratelli o consorelle, con chi incontriamo? Perché mangiare ogni giorno?” Ma perché questa è la quotidianità, fratelli miei! Quotidianità significa alimentarsi ogni giorno. Se non ci nutriamo, moriamo. Se non parliamo con chi ci sta vicino, diventiamo degli estranei. Se non ci rapportiamo con i nostri figli, cresceranno senza il nostro amore. Se non concediamo al nostro cuore tempi, spazi e incontri, muore; è inutile lamentarsi, poi. Se non lo nutriamo, il nostro cuore muore. Così, non è Dio che si arrabbia se noi non lo preghiamo, se non ci cibiamo spesso del suo corpo; è il nostro cuore, la nostra anima, la nostra fede che, facendo così, pian piano deperisce e dopo un po' muore. Tutto qui.  
Se noi guardiamo la Bibbia Abramo, Mosè, Giacobbe, Geremia, Isaia, erano uomini che avevano fatto una profonda esperienza di Dio. Avevano un rapporto con Lui profondo, quotidiano, un filo diretto. Gli antichi asceti, amavano ripetere ai loro discepoli che il peccato più grosso dell'uomo è quello di dimenticarsi di Dio: è la superficialità.
La gente fa un sacco di sacrifici per vestirsi, per le vacanze, per l'auto, la casa, il giardino; ma troppo spesso non fa niente per il cuore e l'anima. È come costruire una casa sulla sabbia: non serve a nulla, ricordate? Prima o poi cade. Prima o poi tutti nodi arrivano al pettine. A che serve allora essersi dimenticati di Dio?
Cerchiamo, fratelli miei, di avere ogni giorno un rapporto vitale, forte, con il Signore e vedrete che anche tutto il resto arriverà. Preoccupiamoci del nostro cuore, del nostro amore per gli altri, e il resto verrà da sé.
Dio è con noi ogni giorno, fratelli: nutriamoci. Lui è alla nostra porta, accogliamolo; Lui è nella nostra casa, stiamogli vicino; Lui è nel nostro cammino, incontriamolo; Lui è la nostra guida, il nostro riferimento, seguiamolo; Lui è fuori di noi, perché lo possiamo vedere, è dentro di noi perché lo possiamo sentire; Lui è con noi nel buio, per essere la nostra Luce; è con noi quando siamo soli nel dolore, per essere la nostra Consolazione; Lui è con noi nella gioia, per essere nostro compagno e amico; Lui è con noi negli entusiasmi, nelle passioni e nelle avventure, per essere nostro complice, nostro eroe. Lui era con noi ieri, lo è oggi, lo sarà domani.
Amiamo dunque Gesù: amiamo il nostro Tutto: amiamolo quando lo sentiamo presente, e anche quando non lo sentiamo, perché Lui è sempre vicino, presente dentro di noi; anche quando ci sembra lontano migliaia di chilometri, anche quando lui non si fa vedere né sentire! Amiamolo, preghiamolo, interpelliamolo sempre: perché ─ come ci ha assicurato ─ Lui è sempre con noi, “tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Amen.

  

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