giovedì 26 maggio 2011

29 Maggio 2011 – VI Domenica di Pasqua

«Pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore».
Il messaggio che possiamo ricavare immediatamente, leggendo il Vangelo di oggi, è che dobbiamo “entrare nello Spirito”: dobbiamo cioè incontrare Gesù, entrare in Lui, vivere di Lui. Parole semplici, facili da capire, ma non altrettanto semplici e facili da mettere in pratica; anche se le occasioni per poter incontrare Gesù in qualsiasi momento della nostra vita, delle nostre giornate, sono numerosissime: basta aprire bene gli occhi. E indossare gli occhiali. Cioè? Dobbiamo indossare gli occhiali della nostra fede, della nostra interiorità, dobbiamo calarci in quella dimensione del nostro io che è lo Spirito: una dimensione che corriamo il rischio di mortificare in continuazione, riducendo il vissuto del nostro cristianesimo a una delirante religione di facciata. Dobbiamo ritrovarlo, lo Spirito, e tenercelo stretto: è infatti troppo facile perdere per strada il suo linguaggio e la sua immagine. Bene: è per questo che Gesù ci promette oggi “un altro protettore”, un altro avvocato, un altro “chiarificatore”. Uno con cui potremo fare fino in fondo la nostra esperienza di discepoli, quella cioè di fare “esperienza di Dio”. Ma andiamo con ordine.
Siamo ancora nel cenacolo. Gesù continua il discorso di addio iniziato domenica scorsa. I punti da precisare sono ancora molti e importanti e devono essere capiti bene dai discepoli.
Domenica scorsa, Gesù annunciava la sua partenza per un'altra vita, per un altro luogo, dove non c'è più da temere e dove c'è posto per tutti. Anzi, lì ognuno ha il suo posto, che è suo, unico e insostituibile. Oggi Gesù ci conferma che Lui se ne va e che qui non vedremo mai più il suo volto: Egli però rimane con noi sotto un'altra forma, in un altro modo, in maniera diversa: mediante lo Spirito, lo Spirito Santo. È sempre il tema del distacco che caratterizza nel Vangelo di oggi, come già in quello di domenica scorsa, il senso di tristezza dei discepoli, del loro sentirsi soli, orfani, pieni di paura (“Non sia turbato il vostro cuore”, Gv 14,1): si sentono improvvisamente smarriti, senza guida e senza riferimento. Il leader, il capofamiglia, il carismatico, se ne va e loro si chiedono se da soli ce la faranno.
Come non capirli? Tutti noi abbiamo bisogno di padri, di maestri, di riferimenti, di leggi, di regole chiare e precise. Ma ─ e Gesù lo sa bene ─ lo scopo di un buon maestro è quello di fare dei suoi discepoli altrettanti maestri. Li vuole crescere, vuol farli adulti, indipendenti, maturi, anche se questo potrebbe comportare il rischio di perderli. Il desiderio di un padre è vedere che i propri figli diventano adulti; è questo che lui vuole ardentemente: perché se li mantenesse sempre bambini, se li costringesse ad avere sempre bisogno di lui, a dover pendere sempre dalle sue labbra, dimostrerebbe di non amare i propri figli, sarebbe come se li usasse, li manipolasse.
Non è possibile rimanere sempre studenti; ciascuno ad un certo punto deve diventare maestro della propria vita. Nessuno può continuare a dire: “Mi hanno insegnato così! Ho fatto quello che mi hanno detto, ho eseguito gli ordini!”. Ma se Dio avesse voluto che non ragionassimo, che non fossimo responsabili, non ci avrebbe dotati di cervello. Gesù anzi ci dice: hai le gambe: cammina; hai gli occhi: osserva; hai le orecchie: ascolta; hai il cervello: usalo.
Di fronte a Lui dobbiamo essere completi e autonomi, non mezze calzette, dei piagnucoloni. La Chiesa deve formare uomini liberi, veri, dalla grande personalità, uomini forti, integerrimi (non come quegli esseri spregevoli, anche tra i preti, di questi ultimi tempi); uomini che sappiano vedere, interpretare la storia, prevederla; uomini alternativi, come lo è stato Cristo Gesù; devono volare alto. E “volare” non significa solo muovere le ali, significa restare in aria autonomamente, senza alcun sostegno. Dobbiamo guardare la luna, fratelli, non il dito che la indica. Siamo noi gli “illuminati”; non abbiamo bisogno di seguire acriticamente quelli che si autodefiniscono tali! Siamo noi che dobbiamo diventare i veri maestri, i veri pastori: Gesù diceva sempre: “Non guardate me, guardate chi sta dietro a me”. E noi, che lo seguiamo, dobbiamo guardare avanti. E vedrete che se non chiudiamo gli occhi, ci vedremo, eccome; se non ci tureremo le orecchie, ci sentiremo molto bene, ascolteremo attenti; se non sclerotizzeremo la nostra mente, capiremo sicuramente la Verità. E se non isoleremo il nostro cuore, vivremo entusiasti l'Amore.
Molti pensano che essere guidati dallo Spirito sia come avere una stazione radio in testa. Basta accenderla e immediatamente ci fa sentire quello che ci serve. Basta premere un pulsante e sapremo subito cosa fare; tutto viene di conseguenza: siccome nel matrimonio c’è la presenza dello Spirito, allora automaticamente tutti gli sposati sanno cos'è l'Amore; siccome nell’ordinazione di un prete c’è lo Spirito, allora tutti i preti conoscono perfettamente Dio; siccome quando preghiamo, lo Spirito è al nostro fianco, allora tutti sappiamo sempre cosa fare. No fratelli, non funziona così!
La stessa Chiesa sbaglia se pensa di dare ai fedeli un Dio già pronto, un Dio già bello e confezionato, un Dio soltanto da credere, pregare, temere, amare; non è così, la Chiesa deve solo insegnarci a scoprirlo Dio, a cercarlo, a trovarlo, ad amarlo; perché solo chi cerca Dio, il vero Dio, quando lo trova non lo lascia più.
Il Cristianesimo infatti non ci offre un Dio in confezione regalo, ma ci insegna a cercarlo tra mille difficoltà: per questo delude molti. Il Cristianesimo non ci dà regole di vita, da tenere incorniciate sotto vetro, ma ci invita a viverle! Non ci dà la vita tout court, ma ci dice di vivere la Vita, scoprendo noi stessi, scoprendo la realtà che ci circonda, e ad incontrare Dio.
Oggi la gente è innamorata delle “guide”: maghi, indovini, santoni, guru; è innamorata di chi ci dice sempre in anticipo cosa fare, come comportarci, quello che è giusto o non è giusto per noi. La gente ha rinunciato all’autonomia intellettuale: preferisce essere condotta per mano come un bimbo, avere degli idoli già pronti, dei miti da seguire, da imitare, da copiare (basti pensare a quei poveri cretini che si esibiscono quotidianamente sui media con desolanti parodie del sacro!); ha bisogno di qualcuno cui affittare il proprio cervello e la propria vita. È così che prolificano i falsi profeti, i buffoni e i clown che pretendono di essere altrettanti Dio, di essere dei santi carismatici, con poteri soprannaturali di decisione sulla fede, sulla testa e sulla vita degli altri; controfigure che dicono con voce suadente: “Fai così. Fai come ti dico io, perché io so”.
Ecco dunque perché Gesù ci ha assicurato lo Spirito Santo: proprio perché diventassimo noi dei maestri, noi i responsabili della nostra vita. Dio è già dentro di noi con lo Spirito, Egli è il nostro Maestro; è Lui la nostra guida. Nessun altro! Che dobbiamo fare allora? Impariamo, ascoltiamo, assimiliamo, stimiamo e apprezziamo le persone, curiamo la nostra formazione; ma poi cresciamo, diventiamo responsabili della nostra vita. Dobbiamo saper rispondere e “dare ragione” a tutti, di ciò che diciamo, di ciò che facciamo, di ciò che crediamo: come ci raccomanda Pietro nella seconda lettura. Non basta infatti vivere la propria fede e chiarirla a noi stessi; occorre essere in grado di chiarirla anche agli altri, agli increduli, ai diversi, a chiunque ce ne chiede ragione. Perché chiunque ha il diritto di chiederci in chi crediamo, il motivo del nostro credere; a tutti dobbiamo dimostrare che il nostro messaggio è valido, possibile da realizzare, e che offre una risposta esauriente agli interrogativi della vita; dobbiamo testimoniare con i fatti le parole della nostra fede e della nostra speranza. Quindi non basta vivere, ma bisogna saper vivere, saper dire, saper giustificare, saper dare un riscontro tangibile a ciò che viviamo e a come lo viviamo. Questo è il motivo per cui il nostro comportamento, il nostro stile di vita, quando è radicalmente fedele allo Spirito, è un comportamento di rottura, un comportamento sempre contro corrente, in disaccordo con gli schemi del “mondo”: perché il “mondo”, come dice Gesù, non può relazionarsi con lo Spirito, in quanto «non lo vede e non lo conosce».  Ma cos’è questo “mondo”? Il “mondo” è per Giovanni, come la “carne” per Paolo, la vita vissuta dall’uomo-carne (in contrapposizione con l’uomo-spirito), che non sente in sé la presenza di Gesù; è la vita dell’uomo che pretende di vivere autonomamente illudendosi della e nella propria autosufficienza. È il vivere “senza Dio” come se Cristo non esistesse e non fosse mai esistito. Dio invece, anche se oggi non è più "visibile", vive e continua a vivere in noi, attraverso di noi, con il suo Spirito. Per questo una grande responsabilità ci attende, fratelli: perché noi, lo Spirito di Dio, possiamo rianimarlo o lasciarlo morire.
«Fra un poco non mi vedrete più». Cioè: “sto per morire, mi stanno venendo a prendere per uccidere”. E aggiunge: «Ma voi mi vedrete perché io vivo, vivo in voi e voi vivrete». Gesù, sentiva che gli apostoli gli volevano bene. Anche se erano uomini pieni di paura, gretti, a volte duri a capire; però gli volevano bene, e questo bastava. Gesù sentiva  che le sue parole facevano breccia nel loro cuore, che la sua vita li affascinava, che erano innamorati, anche se impauriti, del suo messaggio. Gesù sentiva che quello che i suoi dodici amici avevano visto, fatto, sentito, provato con lui, era entrato dentro al loro cuore, era parte di loro e non avrebbero potuto dimenticarlo mai. Non avrebbero potuto più perderlo.
La stessa cosa deve succedere anche a noi, fratelli: perché quel Gesù che ci ha amato per davvero, sarà sempre con noi, vivrà in noi; quel Gesù che ci ha guarito dalle nostre catene, rimarrà per sempre con noi; quel Gesù che ci ha aperto gli occhi, chi ci ha fatto vedere la verità, che ci ha appassionato il cuore, rimarrà perennemente con noi, in noi.
In che modo però possiamo dimostrare di tenere tanto a Lui? Osservando i suoi comandamenti: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama», dice Gesù.
Giovanni parla di comandamenti: e noi li colleghiamo immediatamente ai “dieci comandamenti” del catechismo; ma a pensarci bene, Gesù ci ha lasciato un solo comandamento, ammesso che si possa chiamare così anche questo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Un “comandamento” improprio, infatti: perché in realtà l'amore non si può comandare, non si può ordinare a nessuno di amare: l'amore nasce spontaneamente, in piena libertà. Nessun genitore può dire ad un figlio: “Amami”. Può sperarlo, desiderarlo, può augurarselo. Ma non può costringerlo. L'amore vive solo là dove c'è libertà. Gesù quindi non ha “comandato” di amare, non l’ha mai “ordinato”; lo ha semmai consigliato. L’unico comandamento vincolante per chi vuole seguirlo è infatti quello di “vivere come Lui”, di “seguirlo”, di diventare, cioè, come Lui, uomini veri, liberi, trasparenti, pieni di vita e di Dio. Essere in una parola “genuini”: perché ci possono comandare di essere onesti nella vita, nel lavoro, ma se non viviamo l'onestà per rispetto di noi stessi, non sarà una vera onestà; sarà magari frutto di paura (di essere scoperti!) ma non frutto di amore. Possono ordinarci di andare a Messa tutte le domeniche, ma se non sentiamo dentro di noi che questo ci fa bene, che nutre la nostra anima, che ci rende più cristiani e più maturi, noi continueremo si ad andare, ma per evitare le chiacchiere e le critiche degli altri, non per amore; andremo per obbedire ad un precetto, ma non per libera scelta; andremo per essere cristiani in regola, ma non discepoli di Gesù. Così pure possono comandarci di andare agli incontri sul Vangelo, alle Lectio divine, agli incontri di formazione e di carità, ma se non sentiamo dentro di noi la bellezza, la verità, la ricchezza di queste esperienze, se non le cerchiamo noi spontaneamente, ci andremo certamente, ma tutto ci scivolerà addosso, non ci passerà nulla, ci stancheremo subito e condiremo il tutto con ricchi sbadigli. Se lo facciamo su comando, lo facciamo per “paura”. Se lo facciamo per amore, vivremo di Amore. Del resto possono ben dirci di rischiare, di osare, di puntare più in alto nella nostra vita, di essere aquile, ma se abbiamo paura di volare, se non sentiamo alcun richiamo delle altezze, della bellezza del volo, ci sforzeremo anche, ma non arriveremo mai a niente. Perché non potremo mai fare di una gallina un'aquila.
Fare dunque le cose per forza, perché qualcuno ce l'ha ordinato, non ci fa crescere, anzi ci rende solo più impauriti, più legati e dipendenti. Noi possiamo crescere solo se facciamo le cose per amore: magari faticando, soffrendo e sudando; ma solo facendole per amore, sentiamo che ci fanno bene e ci riempiono il cuore. Se vogliamo fare di un uomo un buon suddito, diamogli delle regole e facciamo in modo che obbedisca. Ma se vogliamo farne un uomo libero, un uomo onesto, un cristiano, amiamolo!
Gesù ci ha promesso lo Spirito: «Il Padre vi darà un altro Paraclito». Ora, in greco “Paraclito” significa “Avvocato”, colui che è chiamato in causa per difenderci, che sta con noi quando siamo soli; ma vuol dire anche “Consolatore”, colui che ci aiuta, che ci protegge, che ci sta vicino, che non ci lascia soli. Quante volte, fratelli miei, siamo convinti di essere completamente soli, persi, in balia di un “mondo” che vive cose totalmente diverse dalle nostre, in balia dei nostri dubbi, oppressi dalle nostre insicurezze! È proprio allora che il Consolatore ci dice di aver fiducia, di non disperare, ci assicura che metterà sulla nostra strada un qualcuno che ci capirà, che ha la nostra stessa sensibilità; qualcuno che ci aiuterà, ci difenderà, ci proteggerà; qualcuno che entrerà nel nostro mondo, lo comprenderà, e consolerà il nostro cuore. È sempre stato così, fratelli: i Santi ce lo insegnano. Dio non ci ha abbandonati, ci ha lasciato il suo Spirito. Se noi ci fidiamo di Lui, sarà impossibile sentirci soli.
Concludo sottolineando ancora la forza e la gioia del messaggio di oggi: essere certi che al nostro fianco abbiamo un “altro Paraclito”, un Consigliere che coinvolge Gesù nella nostra vita, un Consolatore che lo fa entrare dentro di noi e che ci fa vedere la nostra vita e il prossimo che ci circonda con i suoi occhi; un Avvocato che fa di Cristo lo scopo, il progetto e il criterio della nostra esistenza. Bene. Consapevoli di ciò, accogliamolo allora, fratelli, questo Paraclito; accogliamolo dentro di noi, apriamogli le braccia e il cuore, accettiamo i suoi suggerimenti, i suoi insegnamenti. Viviamo uniti in Lui con Cristo, nell’amore del Padre. Come? Amando, fratelli miei. Semplicemete amando. Perché lo Spirito è Amore. La nostra fede è protesta all'Amore: lo suscita, lo presuppone, lo incarna in noi. È lo Spirito Amore che tiene unita la nostra vita, con le sue contraddizioni, con i suoi fallimenti. È lo Spirito Amore che la motiva e la indirizza. È lo Spirito Amore che si realizza in noi quando amiamo i nostri fratelli. Tutto questo è lo Spirito Amore. E questa, fratelli, è la buona notizia di oggi. Amen.


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