mercoledì 9 febbraio 2011

13 Febbraio 2011 – VI Domenica del Tempo Ordinario

«Così fu detto agli antichi: ma io dico a voi…».
Un brano duro, quello di oggi: schietto, senza fronzoli. Un brano che puntualizza punto per punto la rivoluzione che Gesù ha portato con il suo comandamento nuovo.
Non che la Legge fosse una cosa cattiva, anzi: era il vademecum per chi voleva essere fedele all’alleanza che Dio aveva stabilito con l’uomo. E i profeti? Erano i giudici di percorso, quelli che alzavano la bandierina gialla di pericolo, quando qualcuno tagliava la curva, pensando di fare il furbo e di guadagnarci sopra. Gesù non è venuto a sconfessare nulla di tutto ciò. Quello che Gesù attacca senza mezzi termini è il freddo “legalismo”, la degenerazione della vera osservanza, l’osservanza sterile, formale, quell’osservanza che lungo i secoli aveva perso per strada la fede viva e l’amore sincero.
L’uomo dell’Antico Testamento, nato dalla polvere del deserto, aveva ricevuto dal soffio divino l’autocoscienza, la possibilità di gestirsi liberamente nelle sue scelte. Un po’ alla volta però, il suo rapporto con Dio perdeva ogni spontaneità, la sua visione delle cose si cristallizzava; perdeva ogni impulso vitale suggerito dall’amore. Gli bastava essere un osservante esteriore della Parola, senza troppi coinvolgimenti interiori. Paradossalmente era proprio la legge, con i suoi divieti, i suoi comandi, le sue limitazioni, che permetteva al peccato di esprimere in lui tutta la sua potenzialità negativa; serviva in qualche modo a stuzzicargli la voglia di peccare e a far uscire il veleno che c’era nella sua anima. L’uomo, la creta primordiale dell’Eden, pur se vivente, era come morto. Si, perché aveva perso l’Amore.
Gesù è venuto proprio per colmare questo vuoto; con il nuovo soffio dello Spirito, l’uomo ora è rinato a vita nuova; la Pasqua di Cristo gli ha restituito l’antica dignità; non più legge antica dunque, ma legge nuova, quella dell’Amore. Una legge che è sinonimo di dono, di libertà, di accoglienza, di perdono, di interiorità, di purezza, di fedeltà, di fratellanza. Una legge che va oltre l’esteriorità, l’apparenza, l’egoismo, l’odio: una legge amministrata dal cuore, che prescrive definitivamente la vendetta, l’occhio per occhio del taglione.
Non esiste infatti solo l'omicidio a procurare la morte: esiste anche l'odio, l'ira, la vendetta, il giudizio maligno, la maldicenza che, screditando, uccide; esiste il sospetto, la diffamazione; esiste il disprezzo e tutto quanto l'inimicizia e la mancanza d'amore generano nell’uomo, inquinando pesantemente i suoi rapporti umani. E Gesù è inesorabile nei confronti di chi agisce contro l'amicizia e l'amore, quell'amore che ci rende somiglianti a Dio, e che cresce nel nostro cuore fino a renderci capaci di misericordia e perdono.
È una legge che non ammette deroghe quella di cui Cristo parla, e che ha come fondamento l’amore. Nessuna offerta, infatti, è gradita a Dio se chi presenta il suo dono non è capace di amare il suo prossimo.
«Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare, ammonisce Gesù, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello, e poi torna a offrire il tuo dono».
Meditiamole queste parole di fuoco, fratelli miei. Meditiamole, perché sono quelle su cui troppo spesso, e ormai inconsciamente, andiamo ad inciampare.
La nostra lingua è spada tagliente, i nostri giudizi sono macigni dirompenti: contro chi probabilmente ha la sola colpa di starci vicino, di condividere lo stesso nostro percorso, i nostri stessi interessi. Colpiamo con estrema precisione, elegantemente, senza alzare la voce: ma forse seminiamo morte e disperazione nei cuori.
È questo che Dio non sopporta. A che serve tutto il nostro buonismo? A che serve il nostro impegno in mille iniziative caritative, il nostro recitare rosari, il nostro non mancare un giorno a messa, se poi, in un attimo solo, con disinvoltura, facciamo terra bruciata attorno a noi?
Credetemi: siamo talmente bravi ed esperti in questo, che quasi ormai non ci accorgiamo più di quanto sia grave il nostro comportamento. È diventato parte di noi, quasi una forma lacerante per la sopravvivenza.
“Lascia lì il tuo dono davanti all'altare! Non so cosa farmene del tuo dono, offerto pubblicamente a beneficio di chi ti guarda. Sana prima le ferite occulte; asciuga le lacrime che hai fatto versare. E solo allora torna, col cuore contrito e rinnovato, per fare la tua offerta…”
Si, fratelli, perché è sempre il cuore quello che deve esser risanato dalla capacità di amare veramente; e amare significa donazione di sé, una donazione incondizionata, sincera profonda e fedele. Amare è donarsi senza limiti, senza pretendere nulla in cambio.
Qualunque sia il comandamento di Dio, in qualunque modo si esprima, esso è sempre fondato sull'amore ed ha come fine l'amore: è questo il compimento che Gesù è venuto a portare. È questo il comandamento che deve fare luce ai nostri passi.
Invochiamo allora lo Spirito della Sapienza, come ci suggerisce san Paolo, per accogliere nella nostra vita questa pagina, apportatrice di amore e di gioia interiore. Amen.


1 commento:

Anonimo ha detto...

Awesome informazioni, molte grazie allo scrittore dell'articolo. È comprensibile per me ora, l'efficacia e l'importanza è da capogiro. Grazie ancora e buona fortuna!