mercoledì 15 dicembre 2010

19 Dicembre 2010 – IV Domenica di Avvento

Per Giuseppe non fu sicuramente un gran Natale, quel Natale! Lui i suoi progetti li aveva, eccome. Progetti modesti, da giovane artigiano: la bottega andava bene, merito della sua bravura e della sua affabilità con i clienti. Certo, non era una gran piazza, Nazareth, ma col tempo, chissà, avrebbe potuto ingrandirsi e, addirittura, trasferirsi a Sefforis. Le cose andavano bene: da lì a poco avrebbe preso in casa la sua promessa sposa Maria, che tutti gli invidiavano per la bellezza e la modestia innata. Insomma, per Giuseppe, progettare una famiglia con quella ragazza che gli aveva rapito il cuore era fonte di gioia incontenibile. Ma, improvvisamente, questo sogno di Giuseppe viene "rovinato" dall'intervento di Dio. L’inattesa e impensabile gravidanza di Maria, della quale lui non è responsabile, lo getta nell’angoscia e lo costringe a rivedere tutto.
Ma come: Maria? Proprio lei? Come è potuto succedere? Lui era l'unico a sapere che quel figlio non era frutto del suo seme. L'unico, insieme a Maria. Ed ora, cosa avrebbe dovuto fare?
Non era il tempo della rabbia, quello, né del piangersi addosso; era il tempo di agire. Consegnarla alle autorità, abbandonandola al suo destino? Lui sapeva bene che il destino delle donne adultere era la pubblica lapidazione. No, non poteva. La notte in cui apprese la tragica notizia dovette essere terribile per lui: l’ansia che lo teneva sveglio, il rigirarsi continuamente nel pagliericcio, le orribili visioni del domani che spietatamente lo gettavano nella disperazione più cupa. Aveva sempre davanti agli occhi il volto sorridente di Maria: non riusciva a credere alla realtà, non voleva arrendersi all'evidenza. Il suo orgoglio di maschio ferito cedeva però il posto alla tenerezza e alle lacrime dell’innamorato. Il suo cuore si placò quando gli venne in mente un'altra soluzione: al rabbino avrebbe detto che si era stufato di Maria, e che pertanto scioglieva il contratto. Maria avrebbe avuto l'onore compromesso, ma la vita salva. Ecco, sì, buona idea. Lui, nonostante e al di là di tutto, la amava immensamente.
Il racconto potrebbe anche concludersi qui e noi potremmo già identificarci con tutti i sogni, nella nostra vita personale, infranti da un abbandono della persona amata, da una malattia, da un incidente, da una ingiustizia sul posto di lavoro, dai tanti fattori che ci fanno sentire ingiustamente frenati nelle nostre legittime aspirazioni. Parlo ovviamente non dei piccoli sogni legati a cose materiali, ma penso ai grandi progetti di vita nell'amore e nella realizzazione a livello vocazionale, professionale e di lavoro. Anche nel sogno spirituale di fede possiamo a volte sperimentarne la morte, quando sentiamo Dio lontano e la comunità dei credenti come ostacolo; e allora quello che credevamo importante e fondamentale, ci sfugge e muore.
La storia di Giuseppe raccontata da Matteo, però, non finisce qui: non termina nemmeno con il suo proposito di bontà e di giustizia personale.
Finalmente, quella notte, il sonno arrivò: lo prese sul fare del mattino. E lì accadde. Un angelo dialogava con lui, nel sogno, e gli parlava di una missione da compiere, e di un figlio che avrebbe salvato il mondo e di non preoccuparsi. Un sogno strano, dolce, quasi vero. Maria era sua, di Giuseppe, ma a Dio piaceva e le aveva chiesto il grembo in prestito. Nel sogno Giuseppe taceva, stupito, attonito, pacificato. Poi si svegliò, sereno. I pensieri bui erano lontani, fuggiti con le tenebre, si decise di andare a comperare un dolce e di portarlo a Maria. Aveva bisogno di forza, ora che aspettava un figlio. “Suo” figlio. Se Maria aveva imprestato il grembo a Dio, lui, Giuseppe, poteva anche fargli da padre, a Dio. E fa bene a mettere da parte il suo dolore: perché non c’è nessun altro uomo a Nazareth che ami la sua Maria. È semplicemente Dio che gliel’ha rubata.
E la storia continua, con un nuovo sogno che appare nella mente e nel cuore di Giuseppe. È un nuovo progetto che prende forma proprio dalle macerie di quello che credeva distrutto: Dio lo coinvolge in una storia che ovviamente è molto al di la delle sue capacità, ma che ha già coinvolto un'altra piccola donna, che è proprio la sua sposa, Maria. Dio vuole realizzare il suo sogno di entrare nella storia umana e in questo progetto difficilissimo non può fare a meno di Giuseppe, anche se infinitamente più piccolo di Dio. In questo incontro "impossibile" di collaborazione con Dio, Giuseppe trova il nuovo progetto di vita sul quale punta tutto e dal quale ritrova nuovo slancio. La sua quindi non è una obbedienza cieca e sottomessa, ma è una obbedienza a Dio insieme all'obbedienza al suo cuore. Giuseppe cerca la felicità e, aiutato dalle parole che l'angelo gli depone nel cuore, comprende che questa felicità si realizza proprio là dove credeva fosse morto tutto.
Matteo, ottimo conoscitore dell’animo umano, ci fa notare che Giuseppe era “giusto”: cioè irreprensibile, autentico, onesto, un uomo di alto profilo, pieno di dignità e di compassione, non vendicativo, non rancoroso; uno che non giudica secondo le apparenze; che pur ferito a morte, capisce, sa superare il suo orgoglio e usa misericordia verso la donna che ama profondamente. È “giusto”, Giuseppe: come i giusti dell'antico testamento, come i pii davanti a Dio, come i retti di cuore, tanto lodati dalla Scrittura. “Giusto”, perché si mette dalla parte del pensiero di Dio, perché contrasta la follia dominante e il pensiero comune, perché guarda in profondità e lascia prevalere la tenerezza. Infine, “giusto”, come potremmo esserlo tutti noi, se solo lasciassimo Dio nascere nei nostri cuori.
Ma noi, fratelli e sorelle, lo vogliamo veramente che Dio nasca nei nostri cuori? Si? Allora mettiamo da parte le apparenze, viviamo nell'onestà con noi stessi, siamo irreprensibili di fronte agli uomini, coltiviamo in noi i sentimenti e le qualità che ancora sono considerate dei valori: la mitezza, l'assenza di critica, la bonomia, la pazienza, la mitezza, l'umiltà. Un mondo di arroganti e spocchiosi è diventato il nostro mondo, un mondo fatto di gente che urla per far sentire il nulla che ha da dire. Di quanti Giuseppe avremmo bisogno in famiglia, nei rapporti di coppia, nelle comunità religiose, negli uffici, in politica! Uomini e donne “giusti”, di cui Dio si può fidare per realizzare il suo progetto!
Ma non basta. Per far nascere Dio in noi, dobbiamo essere anche dei grandi sognatori, dobbiamo credere ancora nei sogni, negli ideali. Giuseppe c'insegna ad avere il coraggio del sogno, in questo nostro mondo disincantato e cinico; lui, grande sognatore, vive la sua vita intera dietro ad un sogno, piega la sua volontà e il suo destino alla volontà sorniona ed impudente di Dio che gli chiede di mettersi da parte, per lasciare spazio al Suo inaudito progetto di incarnazione.
Un uomo che non sa più sognare, che non insegue i suoi sogni, che non li ascolta, è un uomo morto. E uccide Dio.
Giuseppe accetta, si mette da parte, rinuncia al suo sogno, per realizzare il sogno di Dio e dell'umanità. È deciso, Giuseppe: si prepara perché deve tornare alla sua Betlemme con Maria. Non le ha chiesto nulla, lei sa, lui sa. Si mettono in strada, lei, acerba adolescente con il pancione che la fa donna; lui, con tutte le premure di uno sposo innamorato. Un Imperatore idiota ha deciso di contare i suoi sudditi per autodeliziarsi, stupidamente, del suo inutile potere...
Fratelli miei, cosa ci dice questa svolta decisa nella storia di Giuseppe? Cosa dice a noi che spesso ci fermiamo a contemplare le macerie dei nostri sogni distrutti e che spesso ci fermiamo a prendercela con Dio, con noi stessi e con gli altri in una comprensibile ma a volte inutile autocommiserazione? Nel sogno di Dio ci stanno anche i nostri sogni. Sembra impossibile, sembra appunto un sogno... Forse per questo abbiamo a volte bisogno di ritrovare il sogno spirituale, che in altri termini si chiama preghiera.
È infatti nella preghiera che possiamo intuire come la nostra legittima aspirazione alla felicità non sia mai compromessa del tutto da quel che ci capita di negativo; come anzi dietro alle presunte sconfitte si possa nascondere qualcosa di più grande che ci chiama. Ecco perché di fronte alle nostre debolezze dobbiamo ricorrere alla potenza del Signore, occorre invocarlo umilmente, affinché nella Sua luce divina si sciolgano tutte le nostre incertezze, tutti i nostri dubbi. Anche l’imminente Natale richiede tutta la nostra fede, umile ed attenta: viviamolo così, fratelli e sorelle, questo Natale, coinvolti nella sorpresa di un Dio perdutamente innamorato di noi, che non ci vuole inerti, pusillanimi, rinunciatari, ma in continua tensione verso il compimento della Sua volontà: né più né meno di come è successo con Giuseppe. Amen.

Nessun commento: