mercoledì 13 ottobre 2010

17 Ottobre 2010 – XXIX Domenica del Tempo Ordinario

Il messaggio della Parola di oggi è abbastanza evidente: non bisogna stancarsi mai di pregare.
Personalmente amo la preghiera e sento di averne un gran bisogno, come tutti del resto. Sento anche che, dalla preghiera, posso trarre una forza straordinaria che mi aiuta a superare le mille difficoltà della vita. Purtroppo però, mi riesce difficile concentrarmi, mi rendo conto di pregare male, mi distraggo troppo. Conosco e frequento fin da ragazzo una osservante comunità di monaci benedettini, con alcuni dei quali sono in grande confidenza (sono stati miei compagni di gioventù); bene: loro che pregano sei, otto ore ogni giorno, mi hanno confidato che anche per loro è difficile pregare. Già in tempi non sospetti, infatti, quando il mondo era meno alienante di quello attuale, san Benedetto raccomandava nella sua Regola: “Mens tua concordet voci tuae – La tua mente sia collegata con la tua voce”. In altre parole, “fate sempre attenzione a quel che dite”. Una cosa facile all’apparenza, ma difficilissima nella pratica, soprattutto quando la formula è ripetitiva come per esempio nel salmodiare o nelle Ave Maria del Rosario.
Pertanto, se per noi pregare bene è difficile, convincere gli altri a farlo è pressoché impossibile. Come è altrettanto impossibile – cosa straordinaria e consolante – far smettere di pregare chi, pregando, ha scoperto il vero volto di Dio.
Del resto la preghiera è un'esperienza unica, intima e personalissima: impossibile farne una "scienza" per imporla agli altri. I libri che insegnano a pregare servono soltanto a chi li ha scritti!
La preghiera è il santuario in cui scopriamo il vero volto di Dio, il luogo dove l'anima si incontra con la nostra vita incoerente e sconclusionata.
Abbiamo pregato tantissime volte nella nostra vita; è vero: e forse Dio non ci ha mai dato ciò che chiedevamo. Però, sicuramente, ci ha dato tutto ciò che il nostro cuore desiderava, senza saperlo.
"Bussate e vi sarà aperto", dice il maestro. E di porte se ne sono aperte tante, ma forse non proprio quelle che volevamo noi, bussando!
Sicuramente, la porta dell'interiorità, del vero volto di Dio, della scoperta del nostro intimo e delle nostre reali necessità, riusciamo ad aprirla solo se insistiamo, se non ci scoraggiamo, se accettiamo a volte anche di sentirci stanchi, sfiduciati; se ci sediamo sconfortati, lasciando addirittura che qualcun altro ci sorregga le braccia tese verso l'alto, come Mosè nella prima lettura (splendida immagine di Chiesa, vero?)
Troppo spesso inoltre non riusciamo a percepire il volto dolce del Padre.
Per questo dobbiamo essere insistenti, fratelli. Dobbiamo essere di testa dura. E quand'anche percepissimo Dio come un giudice incomprensibile – “disonesto” dice il Vangelo – un giudice che non interviene nella vita dei deboli, che ci assilla con regole incomprensibili, che immaginiamo insensibile alle nostre scelte e alle nostre tragedie, quand'anche Dio fosse quel "mostro" che il nostro inconscio ottenebrato dipinge, nel quale certi cristiani purtroppo si ostinano a credere, bene: anche allora siamo chiamati a insistere.
Insistere non per convincere Dio, ma per convertire il nostro cuore.
Insistere per purificare il nostro cuore e scoprire che Dio non è un giudice, né giusto né ingiusto, ma un padre, un padre tenerissimo.
Insistere non per cambiare radicalmente le cose, neppure per cambiare noi stessi, ma per vedere nel mondo il cuore di Dio che pulsa.
Insistere nella battaglia che, quotidianamente, dobbiamo affrontare, come Mosè che pregava per vincere.
Insistere sempre, dunque. Con tanta fede. Con una fede incrollabile.
A proposito, come stiamo a fede? Gesù pone una domanda tremenda: "Quando tornerò, troverò ancora la fede sulla terra?". Una domanda che dovrebbe farci riflettere seriamente, farci venire il batticuore.
Si, perché anche se Gesù è venuto, splendore del Padre, e ci ha detto e dato Dio, perché egli stesso è Dio. Anche se ha convinto il mondo, riempiendolo di Spirito, purtroppo – riguardo a Dio – il mondo, la Chiesa e noi, rischiamo continuamente di scordarci il Suo volto, per sostituirlo con quello approssimativo delle nostre abitudini e del nostro egoismo.
In uno slancio di follia Gesù ha affidato il Regno alla Chiesa, a questa Chiesa, alla mia Chiesa, a noi battezzati, perché diventassimo testimoni del Padre: a questa Chiesa debole, fatta di uomini deboli, anche se trasfigurati dallo Spirito. Per questo noi una cosa siamo chiamati a fare, seriamente, convintamente: pregare con fede, chiedere con estrema fiducia. E avere fede. Tanta fede.
Gesù tornerà, lo sappiamo, nella pienezza dei tempi, quando ogni uomo avrà sentito annunciare il Vangelo di Cristo. Verrà per completare il nostro lavoro: a meno che il lavoro non sia fermo, paralizzato dall'incompetenza delle maestranze, dalla polemica dei ricorsi, dall'egoismo del particolarismo, dal litigio degli operai.
Ci sarà ancora fede?, si chiede Gesù. Non dice: "Ci sarà ancora un'organizzazione ecclesiale? Una vita etica derivante dal cristianesimo? Delle belle e buone opere sociali? Delle solerti organizzazioni ecclesiali?" Non chiede: "La gente andrà a Messa, i cristiani saranno ancora visibili, professeranno ancora i valori del vangelo?". No di sicuro, fratelli e sorelle. È la fede che chiede il Signore. Non l'efficienza, non l'organizzazione, non la coerenza, non la struttura.
Tutte cose essenziali, è vero. Ma solo se portano e coltivano la fede. Inutili e pericolose, se autoreferenziali, se autocelebrative. Altrimenti rischiamo di confondere i piani, di lasciare che le cose penultime e terzultime prendano il posto delle “cose ultime”.
Accettiamo allora, fratelli e sorelle, il sano rimprovero di Gesù oggi, il suo sano realismo, la sua sconcertante provocazione. Conserviamo la fede nelle avversità, non demordiamo, non molliamo; ma continuiamo con costanza la disarmata e disarmante battaglia del Regno. Amen.

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