domenica 18 luglio 2010

25 Luglio 2010 - XVII Domenica del Tempo Ordinario

Come Maria di Betania possiamo fare l'esperienza splendida di sederci e metterci in ascolto del Maestro che parla. Il cuore, allora, scopre di sé una nuova dimensione, fino ad allora sconosciuta, un percorso che – stupore! – lo mette in contatto con Dio.
Niente "vocine" o autosuggestioni, credetemi, solo la scoperta dell'oceano su cui passeggiamo senza saperlo.
La dimensione dell'interiorità, del silenzio, della scoperta di Dio passa attraverso l'esperienza della preghiera, una delle esperienze universali dell'umanità.
Ma, ahimè, il cuore dell'uomo tende a possedere, a manipolare, a schematizzare e anche la splendida esperienza della preghiera rischia di essere svilita e sbiadita, ridotta a noiosa ripetizione, a dovere da assolvere, a estremo ricorso in caso di difficoltà.
La Parola di Dio di oggi ci aiuta a capire cos'è la preghiera secondo Dio.
Prima di tutto la preghiera è amicizia. La pagina della Genesi di oggi è un capolavoro che ci svela il volto di Dio: Sodoma e Gomorra sono due città violente e depravate e Dio decide di distruggerle, abbandonandole al proprio destino. Dio è dubbioso: ormai il rapporto di amicizia con Abramo si è consolidato e decide di parlargli del proprio progetto. Abramo ha un tuffo nel cuore: a Sodoma abita Lot, suo nipote, e inizia una serrata contrattazione. Alla fine la spunta Abramo: se Dio troverà a Sodoma anche solo cinque giusti salverà l'intera città. Importanza della preghiera amichevole! La preghiera è infatti un colloquio intimo, uno scambio di opinioni, una reciproca intesa. Non una lista della spesa, non un tentativo di corruzione, non una litania portafortuna.
Noi concepiamo la preghiera come una serie di formule bene auguranti, ma la preghiera è fatta anzitutto di ascolto, l'ascolto di Dio, e di intercessione, intercessione per il mondo, non per i miei bisogni.
La preghiera è fiducia. Gesù ci svela il volto del Padre: è a lui che rivolgiamo la preghiera. Non a un despota capriccioso, non a un potente da convincere. Siamo diventati figli, ci ha detto san Paolo, Dio ci tratta come tratta il suo figlio beneamato. Un buon Padre sa di cosa ha bisogno il proprio figlio, non lo lascia penare. Molte delle nostre preghiere restano inascoltate perché sbagliano indirizzo del destinatario: non si rivolgono a un padre ma a un patrigno o a un antipatico tutore a cui chiedere qualcosa che, pensiamo, in realtà ci è dovuto.
La splendida e unica preghiera che Gesù ci ha lasciato dovrebbe essere la preghiera sempre presente sulle nostre labbra, a cui attingere; preghiera piena di buon senso e di concretezza, di affetto e di gioia, di fiducia e di realismo, ci permette di rimettere al centro la nostra giornata.
La preghiera deve inoltre essere costante.
Come la vedova della parabola il Signore ci invita ad insistere. Gesù non entra nel merito: forse la questione sollevata dalla vedova è un litigio tra vicini e il giudice ha ben altro di cui occuparsi. Eppure, alla fine, cede. Gesù è sicuro di ciò che dice: se chiediamo otteniamo, se ci affidiamo siamo accolti in un caldo abbraccio dal Padre.
Ma, cari fratelli, è a un Padre che ci rivolgiamo con costanza?
Leggendo questa pagina del vangelo mi viene da sorridere: nella mia vita ho pregato molto, ma mi lamento di non essere mai stato esaudito. Perché?
Già sant'Agostino si poneva questa domanda e rispondeva mirabilmente: non sei esaudito perché chiedi male, senza l'insistenza dell'amico importuno, perché ciò che chiedi non è il tuo vero bene (ora, guardandomi indietro, vedendo i problemi sotto una luce completamente diversa, devo dargli ragione!), perché Dio aspetta ad esaudirti per lasciare crescere in te il desiderio di ciò che chiedi.
E allora mi correggo: con la mia preghiera non ho mai ottenuto ciò che chiedevo, ma sempre ciò che desideravo profondamente. Per questo dobbiamo imparare a pregare.
Si, perché la preghiera prima di tutto ha bisogno di noi: così come siamo, devoti o atei, santi o peccatori. Ma deve essere un "noi" vero, autentico, non finto, di facciata. La preghiera ha bisogno anche di un tempo: cinque minuti – tanto per cominciare – tempo in cui, spegnendo il cellulare e isolandoci, riusciamo forse a non essere proprio storditi o distratti. La preghiera ha bisogno anche di un luogo: l’autobus, la metro, vanno bene al pari della nostra stanza o della strada percorsa in solitario nella pausa pranzo. La preghiera ha bisogno di una parola da dire: le persone che incontriamo, le cose che ci angustiano, un "grazie" detto a Dio. La preghiera ha bisogno, quando possibile, di una parola da ascoltare: meglio se il Vangelo del giorno, da leggere con calma e assaporare, perché la preghiera ha bisogno di una Parola da vivere: e quando riprenderemo la nostra attività, dopo questa breve parentesi, ci accorgeremo che qualcosa è cambiato.
Venga lo Spirito promesso dal Signore, fratelli e sorelle; lo Spirito che ci permette di vedere con uno sguardo diverso anche le cose che ci sembrano indispensabili alla nostra felicità, capendo, infine, che ciò che riteniamo un ostacolo insuperabile non è poi così importante risolverlo e – forse – non è neppure un ostacolo. Perché, nella preghiera, scopriremo che nulla ci può impedire di dire con verità: “Padre”. Amen.

Nessun commento: