giovedì 21 gennaio 2010

24 gennaio 2010 - III Domenica del Tempo Ordinario

Il Vangelo di Luca è forse quello che più consapevolmente intraprende il suo progetto; sicuramente è quello che più apertamente lo dichiara al lettore. Lo scopo del Vangelo è "scrivere un resoconto ordinato", perché ci si possa "rendere conto della solidità degli insegnamenti ricevuti". E mentre rileggiamo il prologo, viene spontanea una riflessione sul modo in cui Gesù si rivela a noi.
Certamente, si è rivelato in forma visibile, tanto che alcuni ne divengono "testimoni" (il termine greco è più preciso: "testimoni oculari", coloro che hanno visto di persona. Ma questa forma di rivelazione è per noi oggi inaccessibile: non possiamo più "vederlo", come lo hanno visto gli apostoli. Gesù oggi si fa presente in forma indiretta, appunto attraverso la "testimonianza" di coloro che hanno visto, e divengono "ministri della parola". La parola sostituisce l'esperienza diretta di Gesù che parla, che opera miracoli, che muore e che risorge. Ma anche questa realtà è per noi oggi inaccessibile: non possiamo ascoltare la viva voce di chi è vissuto con Gesù. Tuttavia le loro parole sono state scritte: Luca asserisce che "molti hanno posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi". Potremmo chiederci quanti fossero questi "molti". Gli studiosi discutono di quanti "vangeli" o fonti similari esistessero agli inizi del cristianesimo. Qualcuno cerca di ritrovare o ricostruire i primissimi documenti, che dovrebbero essere addirittura precedenti ai quattro vangeli. La ricerca è difficile, e non ha dato i risultati sperati. Non sappiamo quali ricerche abbia fatto Luca, né quali documenti avesse per mano: in mano a noi resta solo il suo Vangelo.
Gesù si rivela dunque a noi attraverso un libro. E qui il dubbio ci assale: non è troppo poco? Certamente, il libro da solo non basta: il libro viene letto nella Chiesa, nella comunità di coloro che si dicono discepoli di Gesù, e viene spiegato da preti e vescovi che si dicono eredi della testimonianza degli apostoli. Ma anche qui sorge un dubbio: non è troppo poco?
E d'altra parte, la testimonianza non si limita a trasmettere un libro, una serie di dogmi, a spiegare una serie di buoni comportamenti: ma dice che quel Gesù è vivo, è presente nella sua Chiesa, si lascia incontrare da coloro che lo cercano. La vita dei santi mostra come può essere l'uomo trasformato dall'incontro con Gesù. Vediamo dunque una serie di passaggi, che da Gesù arriva fino a noi (la sua vita, i testimoni, il libro, la Chiesa) e una serie di passaggi che da noi arriva a Gesù (la Chiesa, il libro, la testimonianza e l'esperienza della sua persona). Quello che ci viene chiesto è fidarci di questa catena di trasmissione. E sorge a volte il dubbio: non è troppo poco? troppo difficile la nostra fede?
Luca conosce bene questa difficoltà: era la difficoltà anche dei suoi lettori, che non avevano conosciuto Gesù di persona, ma attraverso un insegnamento. Anche per noi si ripropone il problema: non abbiamo visto Gesù, ma ci è stato insegnato. L'unica differenza è il tempo che separa l'ascoltatore dall'evento: tra la Risurrezione e Teofilo passa qualche decennio; per noi sono secoli. Per questo l'evangelista pone come primo episodio rilevante del ministero di Gesù la predicazione nella sinagoga di Nazareth. Gesù è presentato come maestro, come annunciatore, come profeta. In questo Vangelo Gesù è colui che apre il libro e lo commenta, anzi, colui che lo adempie: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udita con i vostri orecchi". Gesù fa capire - indirettamente - ai suoi compaesani che è lui il consacrato, colui che annuncia il lieto messaggio ai poveri, che proclama la libertà ai prigionieri, la liberazione agli oppressi... E anche per i nazaretani si ripropone il problema: non è troppo poco?
Come si può credere in costui? Non c'è differenza - quanto a difficoltà di credere - tra noi uomini del duemila, e i Nazaretani, che parlavano faccia a faccia con Gesù. E la sfida a noi lanciata dal Vangelo di Luca, che leggeremo in quest'anno giubilare della Diocesi, sarà proprio quella di "consoilidare" la nostra fede, renderci conto che quello di cui disponiamo, e che sembra troppo poco, è sufficiente per credere, per guidare la nostra vita, per spenderla e donarla totalmente.

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