venerdì 15 gennaio 2010

17 gennaio 2010 - II Domenica del Tempo Ordinario

In ogni tempo e in ogni luogo la celebrazione delle nozze è fonte di gioia. Gioia, per coloro che pubblicamente chiedono la benedizione di Dio sul loro amore; gioia, per i parenti e per gli amici che vedono realizzarsi i sogni dei loro congiunti; ma gioia anche per i semplici conoscenti, che avvertono tutto il fascino di una nuova famiglia che con tante speranze prende il suo avvio. Per questo, in tale occasione, ognuno si sente sollecitato a prestare la massima cura a che non accadano imprevisti e che nulla possa disturbare la gioia di quel giorno tanto atteso e finalmente giunto. Chi di noi, infatti, non conosce quanti preparativi, quante attenzioni, quante premure richieda la celebrazione di un matrimonio? Molte ansie, molte premure e accorgimenti sorgono perché la gioia delle nozze sia davvero unica e speciale.
Proprio a un tale tipo di gioia vera, autentica e unica legata alla celebrazione dell'amore sponsale ci invita a pensare il vangelo di oggi: una gioia per poco minacciata dal fatto che il vino si era esaurito e che invece grazie all'attenzione di Maria viene salvata. È Maria infatti che sollecita Gesù a compiere il primo miracolo - a trasformare l'acqua in vino - scongiurando così un infelice epilogo della festa nuziale, cui loro insieme ai discepoli erano stati invitati.
Siamo a Cana, durante una celebrazione di nozze e la presenza provvidenziale di Maria e di Gesù scongiura, come già accennato, una precoce e penosa conclusione della festa e della gioia. Maria chiede con forza, infatti, a Gesù di porre rimedio all'imprevista mancanza del vino. In tal modo, sottolinea l'evangelista, Gesù "diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestando la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui".
I miracoli servono, quindi, la fede: sono cioè segni davvero straordinari che accompagnano la predicazione della lieta novella e sono finalizzati a suscitare in coloro che ne beneficiano o che vi assistono la fede in Gesù. Nel miracolo compiuto a Cana, non è certamente difficile leggere un atto di vera accondiscendenza da parte di Gesù verso gli sposi, che sarà subito interpretato come segno inequivocabile della benedizione che sull'amore umano scende dal cuore di Dio. L'amore umano tra l'uomo e la donna è quindi una buona strada per vivere il vangelo, cioè per incamminarsi sul percorso della santità.
Bisogna però riconoscere che il miracolo di Cana non riguarda solo coloro che tra di noi sono sposati. Ogni uomo e ogni donna è chiamato a incontrare il Signore come Sposo della sua esistenza. La connotazione sponsale dell'esistenza cristiana dovrebbe sempre di più entrare nella coscienza credente comune, e con essa anche il tema della gioia. Il cristianesimo è, in verità, un'esperienza di incontro gioioso con il Signore, di quella gioia che brilla sul volto degli sposi nel giorno in cui celebrano il dono del loro reciproco amore.
Spesso però può sembrare che il Cristianesimo evochi ben altro che la gioia nella testa e nei cuori dei nostri contemporanei. Altro che gioia! La Chiesa – e in molti purtroppo la pensano così - vuole tarpare le ali ai nostri desideri, vuole spezzare le gambe alla nostra ricerca di felicità e di gioia. Per questo in tanti si mantengono a distanza di sicurezza dalla Chiesa, dalle sue celebrazioni e da coloro che la rappresentano. Quanta tristezza provoca in noi constatare tutto ciò, dopo duemila anni di annuncio della lieta novella. Proprio a Cana, siamo invece invitati a scoprire che Gesù non si presenta a noi come un padrone che viene a chiedere conto del nostro operato né come un comandante che ci impone di seguire ciecamente gli ordini ricevuti. Si manifesta come Sposo dell'umanità: come colui che risponde alle attese e alle promesse di gioia che abitano nel cuore di ognuno di noi.
E allora non possiamo non chiederci se davvero, almeno noi che ci professiamo suoi discepoli, conosciamo il Signore sotto questa luce, se almeno noi gli stiamo rispondendo sulla lunghezza d'onda di quell'amore sponsale che egli dichiara per ogni uomo, se insomma ci siamo accorti che da lui siamo cercati e invitati a fargli spazio nell'intimo del nostro cuore.
E per nostra fortuna non siamo lasciati da soli in questo cammino.
Abbiamo con noi il dono della Sacra Scrittura. Le giare di pietra ricolme di quell'acqua che Gesù trasforma miracolosamente in vino sono segno dell’antica e nuova rivelazione: l'acqua buona dell'Antico Testamento in Gesù viene compiuta, trasformata (non sostituita!), nel vino della Nuova Alleanza. C'è, dunque, da aspettarsi che solo da un costante incontro con la parola di Dio il nostro cuore possa convertirsi decisamente al riconoscimento della verità profonda del nostro essere cristiani. Meditando con attenzione sulle pagine sante che in molti modi ci rendono presente la passione divina per l'uomo, potremo sempre di più innamorarci del Signore Gesù, nostro sposo e andargli incontro con le lampade accese della nostra fede gioiosa, divenendo così suoi convincenti testimoni dinanzi agli uomini e alle donne del nostro tempo.

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