venerdì 30 gennaio 2009

1 Febbraio 2009 – IV Domenica del Tempo Ordinario

Nel vangelo di questa domenica, Gesù viene descritto da Marco con due pennellate incisive: Gesù è il "maestro" che insegna; Gesù è il "liberatore" che guarisce, perché la sua parola è efficace. Ci troviamo davvero davanti a una "dottrina nuova", dove "nuova", nel linguaggio biblico, non significa originale, inedita, ma perfetta e definitiva. Gesù insegna con autorità e comanda con efficacia; egli proclama ed agisce, dice e fa', predica e guarisce. Il profeta è colui che parla "in nome di Dio". Gesù è il vero grande profeta. Egli insegna con autorità, attraverso parole e opere.
Con i quattro ex pescatori, ora suoi discepoli, è a Cafarnao. Di sabato entra e parla nella sinagoga. C'è molta gente. La sua parola provoca un ascolto eccezionale. Tutti stanno a orecchi aperti. Non si sente nemmeno il movimento del respiro. In tutti c'è un grande stupore: avvertono di trovarsi davanti a un uomo fuori del comune. Lui non conosce che l'aramaico, la lingua dialettale; non ha studiato la Scrittura presso alcuna scuola rabbinica; è un illustre sconosciuto. Eppure parla con autorità. Gli scribi e i rabbì del tempo sono dei 'ripetitori'; Gesù no. La sua è una parola che genera meraviglia, perché è novità assoluta, parla di Dio come uno che 'ci vive dentrò, da sempre. Leggendo i vangeli si nota come questo sia il suo stile costante. Possiamo davvero chiamarlo l'uomo che stupisce. Il 'maligno' è molto più acuto della gente: non è preso dallo stupore, ma dalla rabbia e dall'odio. Egli sa che quell'uomo di Nazaret è venuto a sbancarlo dal suo trono. Il suo dominio indiscusso sull'uomo è finito. È scoccata l'ora di fare i conti con «il Cristo di Dio». E Gesù davanti a lui non si piega, perché ha qualcosa in più degli altri uomini: egli è «il Santo di Dio» e il maligno lo sa. Nello scontro è Cristo che vince, ma non con la forza dialettica, Gesù non discute con il demonio. Gli impone addirittura di «tacere e di andarsene». Cristo non scende a patti con lui. Può discutere con il peccatore pentito, mai con colui che compie il male con piacere. Il pasticcio in cui l'uomo d'oggi è impantanato è proprio questo: andare a braccetto con Dio e con il diavolo. Non esiste più distinzione: bene e male, onestà e disonestà, fedeltà e adulterio, purezza e lussuria, danaro pubblico e danaro sporco sono realtà così intrecciate da non essere più riconoscibili. L'arte del doppio gioco, della doppia morale, della doppia coscienza, è pane quotidiano. Gesù ha una parola che taglia come una spada, che fa male, che invita a scegliere, che scuote, che libera e salva. Questa pagina di vangelo ci mette con le spalle al muro e ci invita a fare delle scelte precise, che abbiano il sapore di una libertà interiore ritrovata. A costo di apparire di un altro mondo. Infatti, noi cristiani siamo «nel mondo, ma non del mondo». Di fronte a Gesù che insegna, qual è il nostro atteggiamento? Di fronte a Gesù che ingaggia la sua lotta contro il male, quali comportamenti ci sono richiesti? "Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?" Anche nelle nostre "possessioni", nei nostri limiti, compromessi... abbiamo bisogno di essere "rovinati". La parola di Dio scuote e toglie la "tranquillità" di chi la predica e a chi l'ascolta. A volte essa fa male, ma è un male, come nel caso dell'ossesso del vangelo, che si converte nel nostro vero bene. Gesù è venuto per accendere una speranza nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. E tutti subito percepiscono che la sua parola non è come quella degli scribi. Perché Gesù non si limita a commentare quello che Dio ha detto, magari con dotti riferimenti. No, la sua parola nasce da un'esperienza di Dio, da una comunione con lui che è del tutto unica. È questa la fonte della sua «autorità».
Un annuncio, però, per quanto consolante, non può bastare. Una buona notizia può riscaldare il cuore, può ridare fiducia a chi ormai si è rassegnato, può risollevare da terra chi non ce la faceva più ad andare avanti... Ma viene il momento in cui c'è bisogno di vedere dei segni concreti, di quel cambiamento che è stato annunciato. Ed è proprio quello che Gesù fa', in giorno di sabato, nella sinagoga di Cafarnao. Mostra come Dio provi compassione per le nostre infermità e si impegni, in prima persona, nella lotta contro il male: il male fisico e quello, più profondo, che intacca l'anima, il male che coincide con la cattiveria del cuore e quello che ha i connotati di una prigionia, da cui non si riesce più ad uscire con le proprie forze. Marco, nel suo racconto, è abbastanza sobrio e quasi avaro di particolari: ci presenta un uomo, «posseduto da uno spirito immondo» che è lì, nella sinagoga. E mette sotto i nostri occhi l'azione di Gesù che libera questa persona dalla sua sofferenza, dalla sua lacerazione, dalla sua schiavitù. È bene, tutto sommato, che la descrizione di quell'uomo e della sua malattia sia generica. È bene perché ognuno di noi può vedere nel gesto di Gesù un compito che è affidato anche a lui. In fondo il gesto della liberazione non ha nulla di strano: è un'ingiunzione allo spirito del male ad uscire da quella creatura, è una parola forte che si propone di portare liberazione e speranza in una vita oscurata dalla presenza mortificante del male. E in quel male ci è lecito ravvisare ogni male di cui soffrono i nostri fratelli, ogni situazione di disagio, di abbandono, di strazio, di scoraggiamento. In Gesù ci viene offerto un segno chiaro, senza alcuna ambiguità: Dio non esita ad ingaggiare una lotta senza quartiere contro ciò che ci tiene in schiavitù, Dio impegna se stesso fino in fondo per la nostra felicità. Per questo il suo Figlio si è fatto uomo. Per questo non esiterà a lottare a mani nude contro ogni cattiveria e contro ogni odio, contro ogni brutalità e contro ogni menzogna. Fino a ferirsi. Fino a venir condannato alla morte di croce. Fino a versare il suo sangue. Storia di un amore che non sopporta l'umiliazione, l'abbruttimento, il sopruso, l'emarginazione. Storia di un amore che non si manifesta attraverso proclami, ma con gesti precisi, costosi, audaci, in cui la liberazione dell'uomo comporta rischi e costi molto alti. Storia di un amore che possiamo annunciare solo se siamo disposti a compiere gli stessi gesti, a fare le stesse scelte.

venerdì 23 gennaio 2009

25 Gennaio 2009 - III Domenica del Tempo Ordinario

Quelle di Gesù non sono promesse elettorali o specchietti per le allodole: quando promette ai primi discepoli di farli diventare “pescatori di uomini”, (cosa ben più grande del pescare pesce) chiede qualcosa di notevole: aver fiducia in lui, mettersi DIETRO di lui, come discepoli di un maestro che indica il cammino, di CONVERTIRSI e CREDERE nel VANGELO, cioè nella bella notizia di un Dio che è venuto a sporcarsi le mani per ridare dignità e gioia a persone bloccate, angosciate, timorose. Persone che riconosce come figli amati e desiderati. Figli a cui lascia la libertà di decidere della loro vita, ma offre prospettive e risorse per prospettare e costruire qualcosa di più bello ed entusiasmante.
“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”: sono queste le prime parole che Gesù pronuncia nel Vangelo di Marco:
- è questo il tempo opportuno e improrogabile per accogliere Dio. E’ come il tempo della raccolta o della vendemmia: aspettare oltre significa rischiare di vedere i frutti della terra e del nostro lavoro marcire, rischiare di rimanere senza cibo, senza vino, senza sostentamento e senza la gioia della festa.
- E’ il tempo opportuno e improrogabile perché il Regno di Dio è vicino: è presente in mezzo a noi, come un seme che è stato seminato e che ora sta germogliando e richiede la nostra collaborazione perché diventi grande e porti frutto. Il Regno di Dio indica il fatto che è Dio finalmente a regnare, a governare, guidare: non è più il potere e il prepotere degli uomini a decidere delle nostre sorti, non è più la superbia, l’avidità, la violenza… il motore della storia, ma è il desiderio di Dio d’amore, di pace, di comunione, di fraternità, di solidarietà a voler prendere le redini delle nostre vicende umane: come un seme, Gesù, venuto in questo mondo, ma ancora presente e operante per guidarci alla realizzazione di questo mondo che tutto desideriamo, ma a cui a fatica crediamo e vi collaboriamo.
Questo nuovo mondo, questa speranza inizia con l’invito a convertirci e a credere nel Vangelo: a cambiare vita e a iniziare a credere seriamente e fermamente in questa possibilità, in un futuro diverso che possa coinvolgere il nostro presente.
Per questo Gesù passa nella nostra storia ed è capace di vedere dentro le persone che incontra, andare oltre ai loro miseri ruoli e riconoscere delle potenzialità grandi: in Simone ed Andrea, semplici pescatori, vede dei pescatori di uomini, persone capaci di raccogliere moltitudini, cercatori di uomini, scopritori di tesori sepolti in ignare persone… in particolare in Simone vede la Pietra su cui poggerà la Chiesa futura, il sostegno che darà fondamento, solidità e durata alla costruzione. In Giovanni vedrà il discepolo che trasmetterà, con la profondità del suo Vangelo, parole sublimi d’amore di Gesù. Un giorno guarderà l’adultera e in lei vedrà non la peccatrice, ma la donna.
Passando anche oggi vede ciascuno di noi e vi scopre potenzialità a noi invisibili, capacità di amare che non sappiamo di avere, doni da condividere che non abbiamo mai sospettato in noi.
Penso a me, alla mia gioventù in continua ricerca, desiderosa di autenticità e di luce, e ha visto e donato un futuro di servizio, come prete e come uomo, che non avevo certo programmato per la mia vita.
Convertitevi e venite dietro di me e vi farò diventare…persone felici e realizzate. Una felicità che siamo chiamati a conquistare a caro prezzo, seguendolo su una via che prevede anche la croce, la morte, ma per poter con lui risorgere a vita nuova, piena ed eterna. A condizione di condividere il suo amore e di donarlo senza riserve.
Domenica scorsa abbiamo ascoltato il racconto di Giovanni che sembra molto differente da quello riportato da Marco e con lui dai sinottici: erano loro a decidere di seguire Gesù in seguito alla testimonianza del Battista che indica in lui il Messia. Eppure alla base di queste esperienze c’è la stessa lezione: i quattro del lago, già discepoli del Battista, seguono Gesù (che li chiama o risponde alla loro ricerca dicendo di venire dietro di lui) non perché attratti dalla sua dottrina, ma perché sentono di potersi fidare di lui, fanno una esperienza che li spinge a lasciare la vecchia vita e iniziare una nuova vita incerta, ma affascinante e ben più luminosa.
Fidarsi e affidarsi precede la missione di diventare pescatori di uomini, di tirar fuori dall’invisibile i tesori sepolti, di riportare alla luce chi era sommerso nel mare dell’oscurità. Li scelse perché stessero con lui e per inviarli: c’è sempre prima una esperienza personale che siamo chiamati a fare. Gesù poi li invia, come oggi può inviarci a formare famiglie cristiane, a testimoniare con l’amore coniugale l’amore di Dio: come portare avanti questo compito grande senza una esperienza personale in Dio? Come donare sapore e gioia nelle nostre famiglie se non attingiamo tutto ciò dalla fonte? Quante volte ci limitiamo a portare nelle nostre case solo la nostra fatica, le ansie quotidiane, le frustrazioni che ci avvolgono? I nostri figli e i nostri coniugi hanno bisogno del nostro amore come noi abbiamo bisogno del loro: ma possiamo portare amore anziché frustrazione solo se ci dissetiamo alla fonte. Non sarà allora mai tempo perso, tempo rubato alla famiglia o alla società quello che dedichiamo alla preghiera, al servizio, alla formazione spirituale, ma tempo risanato che ci carica e ci fornisce di doni da condividere. Solo così il nostro mondo si trasformerà pian piano nel regno di Dio, nel regno d’amore.

venerdì 16 gennaio 2009

18 Gennaio 2009 – II Domenica del Tempo Ordinario

Giovanni e Andrea, discepoli del Battista, fissano lo sguardo su Gesù che passa.
Anche noi Fissiamo lo sguardo, cioè affiniamo il nostro sguardo interiore, diamo spazio al "dentro" come l'adolescente Maria, perché il Signore Gesù passa. Passa nelle nostre vite, mescolato alle tante persone, ai tanti avvenimenti, alle tante preoccupazioni. Passa il Signore e corriamo il rischio di perderlo, travolti dalle troppe cose che ci ingombrano il cuore e la vita.
"Ecco l'agnello" dice il rude Giovanni, spiazzato anche lui nel vedere l'atteso mischiato all'immensa folla dei penitenti in coda per ricevere il battesimo. Attonito, il più grande dei profeti, spiazzato (lui!) per l'inatteso volto del Messia. Lo vede e lo indica ai suoi due discepoli, e profetizza: "ecco l'agnello".
L'agnello, animale mansueto, mite, che non si fa notare, che si lascia uccidere senza neppure belare. L'agnello che richiama la capra cui venivano addossati i peccati del popolo il giorno dello Yom Kippur, giorno dell'espiazione, per poi essere mandata nel deserto a morire per le infedeltà di Israele. L'agnello: profezia, intuizione, stupore nel vedere un Messia nascosto e determinato, un Messia che ha già scelto di stare con gli ultimi, di portarne la fatica e il peccato, di condividerne la fragilità e il tormento.
I discepoli, sentendolo parlare così, seguono il Nazareno.
E' sempre qualcuno che ci indica il Signore, sempre qualcuno che ce ne ha parlato, ce lo ha indicato. Poi sta a noi seguire, scegliere, divenire discepoli. Ma la fede si comunica così: da bocca a orecchio, da vita a vita. Se siete discepoli, amici, qualcuno vi ha parlato del Rabbì, qualcuno che già era discepolo. Se qualcuno conoscerà il Rabbì, sarà attraverso la vostra esperienza, la vostra luce interiore.
Giovanni Battista non è un guru che si specchia nell'adorazione dei suoi seguaci: si stacca da loro con forza, vuole che essi, ora, crescano nella conoscenza autentica di Dio.
Vero modello del Pastore, il Battista rifiuta di essere al centro dell'attenzione, accetta volentieri di sparire per nascondersi dietro quella Parola cui egli ha imprestato la voce.
Una volta raggiunto Gesù, questi si volta e, sorprendentemente, chiede ai due discepoli di Giovanni: "Che cercate?". Potremmo a ragione tradurre "Che volete?". Cosa cerchiamo quando ci mettiamo alla ricerca di Gesù? Chi cerchiamo veramente?
E' una domanda all'apparenza dura e che pure rivela il profondo rispetto che Gesù ha nei confronti della nostra umanità. Può succedere, e lo vediamo, che la fede non sia ricerca, ma rifugio; che Dio non diventi Signore ma padrone; che la sua azione non sia grazia ma supplenza alle mie difficoltà... esiste, cioè, un modo di avvicinarsi alla fede che non ci fa crescere come uomini, ma che ci fa fuggire i problemi.
Il Signore mette a fuoco il senso della ricerca dei due discepoli, li invita a non lasciarsi andare al facile entusiasmo ma a riflettere sulla loro sequela. Anche per noi la ricerca della fede può essere un momento passeggero, euforico, legato ad un momento particolarmente carico di emotività.
Il Signore ci scrolla: vuole accanto a sé degli uomini consapevoli delle loro scelte.
La risposta dei discepoli rivela tutta l'insicurezza della loro scelta: "Maestro, dove abiti?". Non cogliete una richiesta di certezze in questa domanda? Un dire: "Prima di seguirti, facci vedere dove ci conduci"? Quanto bisogno di certezze abbiamo prima di poterci fidare... Quanti "se" e "ma" mettiamo prima di dire il nostro "sì" definitivo al Signore. E' lui che, allora come oggi, ci risponde: "Venite a vedere".
Non chiedere, fidati, muoviti, fa' diventare questa ricerca un'esperienza, investi...
La fede - quante volte lo dico! - non è "fare", "sapere" ma "conoscere".
Noi per primi siamo chiamati ad andare a vedere, noi per primi siamo chiamati a fare l'esperienza della sequela. Ed essi andarono. videro e restarono con lui. Dopo essersi fidati restano, accettano, si lasciano coinvolgere.
L'annotazione finale di Giovanni è simpaticissima: "erano circa le quattro del pomeriggio". Quel giorno, quell'istante, è così importante per lui che segna l'inizio di una vita nuova.
Sono passati forse sessant'anni da quell'evento e il discepolo ricorda l'ora precisa, tutto è cambiato, ormai, per Giovanni e Andrea: quel giorno è stato come l'inizio di una nuova Creazione.
Per chi incontra il Signore i giorni non sono più uguali, ma diventano gravidi di una luce nuova. Ecco ciò che ci attende nell'ordinarietà del nostro tempo: l'incontro con il Signore, l'esperienza della sequela. Se sapremo ogni giorno spalancare gli occhi e riconoscere l'Agnello che passa, potremo cambiare la nostra esperienza di vita in autenticità e in maggiore luce interiore.

venerdì 9 gennaio 2009

11 Gennaio 2009 - Battesimo del Signore

Sappiamo che Gesù non ha bisogno di lasciarsi alle spalle il male e il peccato, però sappiamo anche che da questo momento in poi, anche Gesù cambia la sua vita!
Per 30 anni, nessuno ha saputo granché di lui: lo conoscono solo i suoi parenti e la gente di Nazareth. Ha trascorso una vita normalissima, una vita come tante, senza che lasciasse capire che era il Figlio di Dio, il Messia atteso da sempre. Adesso, di fronte a Giovanni Battista, sulle rive del Giordano, Gesù sa che la sua vita sta per cambiare completamente. Non più solo figlio di Maria e Giuseppe, ma Rabbi, Maestro, sulle strade di tutta la Palestina che mostra il volto del Padre suo e Padre nostro.
Il battesimo che Gesù riceve da Giovanni non è per il perdono o per la rinuncia al male, ma è il segno del completo cambiamento che sta cominciando nella vita di Gesù.
Perciò insiste tanto con il cugino, fino a convincerlo; possiamo infatti immaginare una fila di persone che vanno da Giovanni per essere immerse nel Giordano: in quella fila si mette anche Gesù, che Giovanni ha appena definito «più forte di me, colui che battezzerà in Spirito Santo e fuoco»!
Questo recarsi di Gesù da Giovanni per essere battezzato apparirà azione scandalosa persino per i primi cristiani, alcuni dei quali cercheranno di minimizzare l’evento. Eppure tutti e quattro i Vangeli ce lo testimoniano: Gesù si associa ai peccatori nel chiedere a Giovanni il Battesimo. L’altro si oppone, ma Gesù ribatte: «Lascia fare per ora!», invitandolo a compiere la volontà di Dio, la sua giustizia: e la giustizia di Dio è quella particolare coerenza con cui egli intende realizzare la sua misericordia verso i peccatori, il suo disegno universale di salvezza. Giovanni allora acconsente e si sottomette al volere di Gesù, il quale a sua volta si sottomette a lui nel Battesimo.
Gesù realizzerà in pieno questa missione attraverso il battesimo pasquale (“C’è un battesimo che devo ricevere”) nelle acque simboliche della morte, da cui riemerge con la risurrezione. Dal suo fianco trafitto sgorgheranno acqua e sangue, cioè il battesimo e l’eucarestia, sacramenti della nuova vita. (Gv 19,34)
La festa del Battesimo del Signore conclude il tempo di Natale e dà inizio al Tempo Ordinario. Come l’evento del Battesimo di Gesù fu l’avvio della progressiva manifestazione del suo mistero al mondo, così la festa corrispondente è il principio di quel percorso che la Chiesa ci offre ogni anno per approfondire la nostra conoscenza vitale del mistero di Cristo. È, quindi, il periodo non soltanto per smontare il presepio e togliere gli addobbi dalla chiesa e dalle nostre case, ma di conoscere sempre più e sempre meglio il Signore che è nato per noi.
Proprio nel momento in cui Gesù risale da quell’acqua carica dei peccati dell’umanità, «si aprono i cieli ed egli vede lo Spirito di Dio scendere come colomba su di lui. Ed ecco una voce dal cielo: "Questi è il mio Figlio amato, nel quale ho posto la mia gioia"».
Così si compiono le Scritture e la giustizia di Dio si è realizzata: Dio voleva vedere Gesù così, in mezzo ai peccatori, e in quell’atto di abbassamento voleva riempirlo di Spirito Santo. È in questa inattesa epifania che ci è dato di cogliere l’unità dell’azione di salvezza di Dio: il Padre opera attraverso il Figlio Gesù conferendogli tutta la potenza dello Spirito.
La festa del Battesimo di Gesù è anche memoria del nostro Battesimo e, nel contempo, della voce di Dio rivolta a ciascuno di noi: «Tu sei mio figlio!». Ognuno di noi è figlio di Dio, ed è causa della sua gioia se, riconoscendosi peccatore, intraprende il cammino di conversione; su ognuno di noi scende e riposa lo Spirito se sappiamo invocarlo e apprestare tutto per accoglierlo. È così che possiamo sentirci figli di Dio, capaci di gridargli «Abbà, papà amato!» e di vivere delle energie dello Spirito: energie nascoste che pure non cessano di mostrarsi efficaci nella nostra vita, energie più forti del peccato e della morte.