giovedì 12 marzo 2009

15 Marzo 2009 - III Domenica di Quaresima

Di Dio non si fa mercato!
Mi si permetta una fantasticheria: chissà come avrà reagito quel giorno il sommo sacerdote Caifa quando gli devono aver raccontato di quello scandalo inaudito, che si era verificato al tempio nell’atrio dei gentili, a firma del solito Gesù di Nazareth, mai visto “infuriato pazzo” così, contro mercanti e cambiavalute? Non ha risposto proprio a questa domanda, ma ci è andato molto vicino lo scrittore torinese, S. Jacomuzzi con il suo romanzo audace e avvincente, Cominciò in Galilea, una sorta di quinto vangelo, messo in bocca all’apostolo Andrea. Ecco come il “primo chiamato”, il fratello di Simon Pietro, ricostruisce il “fattaccio”: “Fu d’improvviso, in modo del tutto inaspettato. Mi ero appena accorto che Gesù aveva alzato gli occhi in alto, verso i fastigi del tempio, per poi rivolgerli tutto attorno a ciò che lo circondava, e lo vidi muoversi di scatto. Da una bancarella vicino afferrò delle cordicelle, ne fece una fune e con quella si abbatté addosso ai mercanti, rovesciò i banchi delle monete, cercò di spingere fuori pecore e buoi. Restammo allibiti, senza neppure il tempo di intervenire e di metterci accanto a lui. Si alzò un volo di colombe spaventate e Gesù gridò ai loro venditori: “Andatevene di qui! Avete mutato la mia casa in una spelonca di ladri!”.
1. Per comprendere adeguatamente da una parte la carica “rivoluzionaria” del gesto compiuto da Gesù e, dall’altra, la sua valenza simbolica, bisogna ricordare cosa rappresentasse il santo tempio di Gerusalemme per il giudaismo contemporaneo. Secondo la fede d’Israele, il tempio era la dimora di Dio in mezzo al suo popolo: là si operava la remissione dei peccati; solo là veniva pronunciato il santissimo nome di YHWH, altrimenti assolutamente impronunciabile. In sostanza il tempio era il segno concreto e tangibile sia della unicità di Dio sia della unità e unicità di Israele: lo ricordava una iscrizione su una lastra di pietra messa a confine tra i due piazzali, quello riservato ai giudei e quello dei pagani: comminava la pena di morte all’incirconciso che avesse osato oltrepassare il limite. Del gesto compiuto da Gesù sono state date due interpretazioni, una che potremmo chiamare “devota”, e l’altra “zelota”. Secondo la prima, si sarebbe trattato di una purificazione del tempio: come gli antichi profeti, Gesù avrebbe compiuto un gesto di violenta denuncia di abusi intollerabili e si sarebbe scagliato contro quella sacrilega profanazione che aveva ridotto il tempio a un centro commerciale. Bisogna però ricordare che in fondo la presenza di venditori e di cambiavalute non solo non era illegale - oltretutto il mercato si svolgeva nell’atrio dei pagani - ma era anzi necessaria per offrire sacrifici e cambiare le monete straniere, ritenute impure, in monete ebraiche. Di fatto Gesù non se la prende direttamente con il traffico del tempio, fonte di lauti guadagni per il sommo sacerdote e le grandi famiglie sacerdotali che si spartivano il controllo delle finanze. Secondo l’altra interpretazione, quella “zelota”, il gesto compiuto da Gesù sarebbe stato un atto squisitamente politico: un tentativo di occupazione del tempio, contro gli invasori romani e quindi un affronto oltraggioso all’alta aristocrazia sacerdotale, imparentata con la classe dei sadducei e connivente con il potere occupante. Di fatto il gesto in se stesso è stato un “gesto profetico” - come i gesti compiuti dagli antichi profeti per lanciare dei messaggi particolarmente importanti - insomma un’azione dimostrativa, simbolica. Più che una “purificazione” dell’area del tempio, quello che fa Gesù annuncia l’abolizione di ogni barriera: perfino l’atrio consentito ai pagani doveva essere considerato sacro, tanto quanto lo spazio riservato agli ebrei. In fondo Gesù non vuole la restaurazione del vecchio mondo, ma l’instaurazione di un nuovo mondo religioso, senza più tabù né odiose segregazioni.
2. Ma c’è ancora altro. È soprattutto il detto riportato da Giovanni, rispetto ai sinottici - “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” - a illuminarci sul senso attribuito da Gesù stesso al suo gesto eclatante. È da rimarcare qui la forte sottolineatura del soggetto che compie l’azione - che nella versione di Marco è ancora più accentuata: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo e in tre giorni ne edificherò un altro non fatto da mani d’uomo” (14,58). Il tempio non è più riformabile, perché decaduto: va sostituito, non perché profanato, ma perché il Messia è ormai venuto, e Gesù è insieme il soggetto e l’oggetto della sostituzione del vecchio santuario di Gerusalemme: è il ricostruttore del tempio e il tempio ricostruito. Nella precedente attesa giudaica, riguardante il rinnovamento del tempio negli ultimi tempi, è sempre e solo Dio che agisce; di norma, non ci si attendeva che un uomo, re o profeta che fosse, si arrogasse la prerogativa della riedificazione futura del tempio. Qui invece abbiamo proprio un uomo, il rabbi Gesù di Nazaret, che si accredita come dotato di una autorità divina. Infatti l’accusa che gli verrà mossa pochi giorni dopo in sede di processo dal tribunale del sinedrio, riguarda proprio questo capo: la funzione di Gesù, come il ricostruttore promesso del tempio, indirettamente comportava la sua piena e totale equiparazione con Dio. Il gesto simbolico compiuto dal Maestro di Nazareth e il suo messaggio profetico si possono capire solo alla luce della Pasqua: “egli parlava del tempio del suo corpo”. Abbiamo qui il primo annuncio della morte e risurrezione di Cristo: la sua umanità è il luogo della presenza e della manifestazione di Dio in mezzo agli uomini. Il Signore Gesù dunque è il vero tempio, l’unico luogo di incontro con Dio. Il suo corpo, distrutto da mani d’uomo - dal peccato - sulla croce, diventerà nella risurrezione il luogo dell’appuntamento universale tra Dio e gli uomini tutti. Questo significa che i veri adoratori di Dio non sono i guardiani del tempio materiale, i sommi sacerdoti garanti del sistema o gli scribi detentori del sapere, ma tutti coloro che adorano Dio “in spirito e verità” (Gv 4,23). La nota conclusiva di Giovanni - Gesù “non si fidava di loro... perché sapeva quello che c’è nel cuore dell’uomo” - sposta il luogo del vero incontro con Dio: dal recinto sacro all’intimo della coscienza, lì dove ogni uomo non si decide per qualcosa, ma per Qualcuno.
3. Ci stiamo preparando alla grande veglia pasquale, quando rinnoveremo le promesse del nostro battesimo, il sacramento-base con cui Cristo ci ha “incorporati” a sé, facendo di noi le pietre viventi del nuovo tempio: noi siamo il vero santuario, abitato dallo Spirito di Dio (cfr. 1Pt 2,4-5; 1Cor 3,16; 6,19). Ci stiamo preparando a rinnovare la promessa di fare di tutta la nostra vita “un sacrificio vivente, santo, gradito a Dio” (Rm 12,1). Camminando nel mondo come Gesù, facendo di tutta la nostra esistenza un segno del suo amore per il mondo, noi costruiamo a Dio un tempio nella nostra vita. E così lo rendiamo incontrabile per quanti si imbattono nel nostro cammino. Ma il Signore si sente veramente a casa nella nostra vita? O anche per noi deve prendere la frusta per “fare le pulizie pasquali” negli atri del nostro cuore adultero e mercenario, e per scacciare gli idoli che vi si sono prepotentemente e comodamente installati? L’eucaristia che celebriamo ci mette in comunione con il tempio vero e vivo del Signore: il suo corpo crocifisso e risorto. Gesù sa bene quello che c’è in ognuno di noi, ma conosce pure il nostro più intimo e ardente desiderio: quello di essere abitati da Lui, solo da Lui.

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