giovedì 31 gennaio 2008

3 Febbraio 2008 - IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO


Dio è garante della mia gioia
Se da un lato questa pagina del vangelo è una delle più conosciute dalla gente (anche perché è rivolta proprio a tutti, “Gesù vendendo le folle”) è anche una delle pagine più ostiche, più difficili, una pagina che stravolge completamente quella che è la nostra comune concezione della vita:

Tutti infatti, credenti o meno, siamo dei mendicanti di gioia; ogni giorno ci accorgiamo e tocchiamo con mano di non essere veramente felici, non abbiamo ragioni sufficienti per essere davvero realizzati, totalmente appagati.
Sì, certo, viviamo momenti intensi, belli, memorabili, gioie semplici e vere che solcano – grazie a Dio! – il cuore e la vita.
Ma non sono sufficienti a realizzare tutto il desiderio di assoluto che portiamo impresso nel nostro cuore. Il nostro cuore è sempre “inquietum”
Il nostro mondo, la società in cui viviamo, poveri ingenui!, ci fanno credere che ottenere la felicità è cosa da poco: basta possedere, apparire, dominare, esagerare sempre.
Ma purtroppo chi davvero crede a questa menzogna, si ritrova inevitabilmente con un pugno di mosche in mano, inebriato, intimamente svuotato, fuori di sé.
Allora… è possibile arrivare alla pienezza della felicità? vivere la totalità dell'amore?

Matteo, nel suo discorso della montagna, ce ne traccia la via: come un nuovo Mosè, Gesù consegna alle genti la sua nuova legge, non più scolpita sulle tavole di pietra, ma incisa nel cuore dei discepoli.
Egli come al solito ci sconcerta: la beatitudine, la felicità, la gioia, corrispondono esattamente al contrario di ciò che noi consideriamo fonte di benessere: ricchezza, forza, calcolo, scaltrezza, arroganza.
Ma cosa sta esattamente dicendo Gesù? Esalta forse una visione di cattolicesimo rassegnato e perdente che troppe volte vediamo intorno a noi? Mi dice forse che, se le cose vanno male, se va tutto a rotoli, se sono povero (il testo greco è ancora più forte: “ptokòi” = pitocchi, accattoni, pezzenti), se subisco violenza, se provo dolore e piango, sono immensamente fortunato?
Allora ha ragione l'immenso Nietzsche, quando dice che i cristiani, non riuscendo a vincere, a emergere, a trionfare, dicono: "Allora beati gli sconfitti?

Non diciamo sciocchezze; lo sappiamo benissimo che non può essere così!
Dio non ama il dolore e Gesù stesso, per quanto gli è stato possibile, ha evitato la sofferenza.
E allora?
Gesù parla del Padre: ce ne descrive il vero volto, ci racconta l'inaudito di Dio, così come egli lo ha vissuto e lo vive.
Il Padre, il vero Dio, è un Dio povero, un Dio misericordioso, un Dio mite, un Dio che ama la pace, un Dio che, per amore, è pronto a soffrire. Un Dio così diverso da come ce lo immaginiamo; un Dio così straordinario e armonioso: solo Gesù ce lo può veramente svelare, perché lui e il Padre sono una cosa sola.

Dio non dona a ciascuno il suo, ma a ciascuno secondo quanto ha bisogno, privilegiando chi ha meno: un cuore povero, un cuore affranto riceve molta più attenzione e tenerezza di un cuore sazio che non ha bisogno di nulla.
La beatitudine non consiste dunque nel dolore, nella miseria, ma nel fatto che l'intervento di Dio colma il cuore di chi è affranto.
In altre parole Gesù ci dice: se, malgrado la sofferenza, la persecuzione, il pianto tu sei sereno, beato, significa che hai riposto in Dio la tua fiducia; è lui il tuo unico sostegno; stai felice: hai trovato Dio, la felicità che non ti è tolta, la risposta grande alla vita.
Le gioie che viviamo, sono un suo dono, e vanno vissute come tali, perché Dio ci chiederà conto anche di tutte le gioie che non avremo vissuto.
Ma immaginate quanta più gioia avremo nel nostro cuore se, nel dolore, resteremo aggrappati a lui, l'unico bene che non ci può essere tolto?
Conoscere Dio, sapere che in lui soltanto riposa il nostro cuore, sconvolge l'ordine delle cose.

Il mondo è aggressivo e ci vuole grinta per sfondare? Dobbiamo dimostrare in continuazione e a tutti che valiamo? Al lavoro siamo misurati e pesati continuamente? A casa spesso ci sentiamo incompresi? Bene. Non c'è scampo: o ha ragione il mondo, o ha ragione Dio.

Se noi restiamo miti, costruiamo la pace, viviamo nella giustizia, noi stiamo dalla parte di Dio.
Le Beatitudini sono promessa di un mondo nuovo, diverso, di una logica che siamo chiamati a scrivere nella piccola vita delle nostre piccole comunità radunate intorno al pane di Dio.
E' difficile vivere il Vangelo, lo sappiamo bene; è difficile vivere nel quotidiano, il sogno di Dio che è la Chiesa.
Ma la fatica che faccio nel restare tassellato al Vangelo, lo sforzo eroico che compio nella conversione alla logica del Regno, anticipa e realizza le Beatitudini.
Nella nuova prospettiva chi è mite conta qualcosa; chi è povero di cuore, cioè umile, vale più di chi ostenta arrogante ricchezza; la mia presenza, la mia preghiera, sono conforto al cercatore di giustizia.
Le beatitudini affermano che la storia umana finirà come abbiamo sempre sognato: trionfa il bene, l’umiliato e sconfitto risorge, l'arroganza dei potenti è convertita, umiliata.

Il discorso della Montagna ci immette, dunque, in quel clima di particolare totale immersione della logica dell'amore, del servizio, del perdono, pace, sofferenza, bontà e tenerezza. Un discorso che ben illumina la realtà umana in una prospettiva di salvezza oltre il tempo, nell'eternità, ma che si costruisce oggi, in quanto i Beati, ora e qui, sono tutti coloro che operano nella prospettiva indicata da Cristo.
Ecco allora che le categorie etiche sulle quali dobbiamo strutturare il nostro impegno nel mondo sono quelle che si rifanno in termini lineari alle Beatitudini evangeliche.
Certo, in un mondo come il nostro queste categorie sono paradossi, per molti impossibili da assimilare, concettualizzare e praticare.
Ma senza questa prospettiva diventa impossibile parlare di Vangelo e vivere il Vangelo anche oggi.
Poveri, afflitti, miti, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati nella prospettiva del Vangelo sono soggetti difficili da incontrare nella nostra vita ordinaria. Tuttavia ci sono e sono proprio loro la speranza nel pensare e volere un mondo migliore. Un mondo possibile da costruire se si fanno queste scelte di campo coraggiose. E sono scelte di beatitudine vera, che vanno al di là di ogni presunto potere che ci propina la cultura del pensiero debole o dello strapotere della tecnica e dell'economia, della politica e del progresso senza limiti.
Tutto questo nostro impegno nel costruire ogni giorno la beatitudine in questo secolo e in vista dell'eternità è motivo di profonda gioia, in quanto abbiamo la certezza di una ricompensa che supera abbondantemente le nostre attese: "Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli". E' questa la consolazione più grande per un cristiano, anche se egli dovrà molto patire e soffrire in questo mondo.

Dobbiamo quindi ritornare alle verità fondamentali.
Nel corso della vita, l'uomo deve trovare un centro interiore che orienti e dia senso alla sua esistenza.
Deve scoprire quel nucleo di verità fondamentali che lo sostengono e gli permettono di rimanere nel bene morale, mentre molte speranze superficiali continuano a sparire. Questo vale non solo per le persone più mature, alle quali il tempo ha già recato qualche delusione, ma anche per molti giovani, "appassiti nella primavera stessa della vita", che hanno perso l'incanto della vita.
Tutti dobbiamo aspirare a queste "verità fondamentali" che diano speranza al nostro camminare. Significa riscoprire la ragione della propria esistenza, l'amore di Dio, e il senso della propria dignità come persona e Figlio di Dio, per scoprire che abbiamo una missione nella vita e che il nostro passaggio su questa terra è momentaneo e provvisorio. Le beatitudini ci invitano appunto a rivedere la nostra gerarchia di valori. Ci aiutano a comprendere, alla luce dell'eternità, la relatività di tutto ciò che è creato, dei beni materiali, l'incongruenza della ricerca esclusiva del piacere e del benessere, e la relatività delle sofferenze di questa vita.
"Cercare ancora il Signore": è questo che ci propone il profeta Sofonia. Cercarlo tra le pieghe della nostra vita, cercarlo nelle sofferenze, nelle pene; cercarlo nelle proprie imprese, nella nostra famiglia; cercarlo nella vita di società e nella storia del mondo. Cercare il Signore significherà, certamente, pregare e parlare con Dio, ma non solo quello. Cercare il Signore significherà conformare la nostra condotta di vita coi suoi comandamenti, con le sue leggi, perché Egli è il Signore! Cercate il Signore e il vostro cuore rivivrà!

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