giovedì 22 novembre 2007

25 Novembre 2007 - Cristo, Re dell'Universo


Il regno di Dio è dentro di noi…

Il senso della festa di Cristo re dell’universo è quello di farci guardare altrove, in avanti, di chiederci, seriamente, dove stiamo andando a finire. Le ragioni per scoraggiarci non mancano, e la nostra fragile storia fatta di armi e di violenza, continua a dettare legge. No, non è cambiato molto in questi duemila anni di cristianesimo, il Regno sembra essere un bel progetto rimasto sulla carta.
Ma non è così: la festa di oggi ci richiama ad una verità di fede che sfida la nostra tiepida contemporaneità, il nostro cristianesimo miope, fatto di piccoli progetti. Cristo re vuol dire che Lui avrà l'ultima parola sulla storia, su ogni storia, sulla mia storia personale.
Dire che Cristo è re, significa non arrendersi all'evidenza della sconfitta di Dio e dell'uomo, credere che il mondo non sta precipitando nel caos, ma nell'abbraccio tenerissimo e gravido del Padre. Dire che Cristo è re, significa creare spazi di rappresentanza del Regno là dove stiamo vivendo la nostra vocazione alla vita, piccoli spazi pubblicitari per dire agli smarriti di cuore: ecco, Dio vi ama.
Oggi è la festa in cui noi comunità guardiamo avanti, al di là e al di dentro dei nostri sforzi perché, sempre, il metro di giudizio del nostro essere Chiesa è la realizzazione del Regno.
Chiediamocelo noi, pastori, consacrati, preti e monache, laici “professionisti” del sacro: nelle nostre comunità, nei nostri Consigli Pastorali, nelle nostre programmazioni pastorali, è sempre evidente che tutto ciò che facciamo, dalla catechesi alla carità, sia veramente necessario per essere trasparenza della regalità di Cristo?

Già, perché questa riflessione ci mette in crisi. Quando una proposta o un progetto non vuol decollare, ci siamo mai chiesto se siano veramente consoni all'edificazione del Regno?...
Ma c'è di più: la regalità di Gesù è una regalità che contraddice la nostra comune visione di Dio, di un Dio glorioso e trionfante.
Perché questo Dio è più sconfitto di tutti gli sconfitti, fragile più di ogni fragilità. Un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita di un cartello per essere identificato.
Ecco: questo è il nostro Dio, un Dio sconfitto.
Non un Dio vittorioso, non un Dio onnipotente, ma un Dio osteso, mostrato, sfigurato, piagato, arreso, sconfitto.
Una sconfitta che, per Lui, è un evidente gesto d'amore, un impressionante dono di sé.
Un Dio sconfitto per amore, un Dio che – inaspettatamente – manifesta la sua grandezza nell'amore e nel perdono. Dio – lui sì – si mette in gioco, si scopre, si svela, si consegna.
Dio non è nascosto, misterioso: è evidente, provocatoriamente evidente; appeso ad una croce, apparentemente sconfitto, gioca il tutto per tutto per piegare la durezza dell'uomo.
Gesù è venuto a dire Dio, a raccontarlo.
Lui, figlio del Padre ci dona e ci dice veramente chi è Dio. E l'uomo replica. “No, grazie!”.
Forse preferiamo un Dio un po' severo e scostante, sommo egoista bastante a se stesso, potente da convincere e da tenere buono.
Forse l'idea pagana di Dio che ci facciamo ci soddisfa maggiormente perché ci assomiglia di più, non ci costringe a conversione, ci chiede superstizione; non piega i nostri affetti, solo li solletica.

La chiave di lettura del vangelo di oggi è tutta in quell'inquietante affermazione della folla a Gesù: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Frase che Luca fa dire anche ai sacerdoti e ai soldati pagani: tutti concordano nel ritenere un segno di debolezza il dover dipendere dagli altri.
Il potente, così come ce lo immaginiamo, è colui che salva se stesso, può permettersi di pensare solo a sé, ha i mezzi per essere soddisfatto, senza avere bisogno degli altri.
Dio è ciò che non possiamo permetterci di essere, il più potente dei potenti, che può tutto, che non ha bisogno di niente e di nessuno, beato lui! Dio diventa la proiezione dei nostri più nascosti e inconfessati desideri, è ciò che ammiriamo nell'uomo riuscito, ricco e sicuro: allora cerchiamo di sedurlo, di blandirlo, di corromperlo.
No, il nostro Dio non salva se stesso, salva noi, salva me.
Dio si auto-realizza donandosi, relazionandosi, aprendosi a me, a noi.

Si apre a noi perché noi dobbiamo essere discepoli. Guardiamo i due ladroni: sono appunto la sintesi del diventare discepoli.
Il primo sfida Dio, lo mette alla prova: se esisti fa' che accada questo, liberami da questa sofferenza, salva te stesso (di nuovo!) e noi, e me. Concepisce Dio come un re di cui essere suddito. Ma a certe condizioni, ottenendo in cambio ciò che desidera: una redenzione in extremis. Non ammette le sue responsabilità, non è adulto nel rileggere la sua vita, tenta il colpo. Non è amorevole la sua richiesta: trasuda piccineria ed egoismo. Come - spesso – la nostra fede. Cosa ci guadagno se credo?
L'altro ladro, invece, è solo stupito. Non sa capacitarsi di ciò che accade: Dio è lì che condivide con lui la sofferenza. Una sofferenza conseguenza delle sue scelte, la sua; innocente e pura quella di Dio. Ecco l'icona del discepolo: colui che si accorge che il vero volto di Dio è la compassione e che il vero volto dell'uomo è la tenerezza e il perdono. Nella sofferenza possiamo cadere nella disperazione o ai piedi della croce e confessare: davvero quest'uomo è il Figlio di Dio.
Che re fuori da ogni buonsenso, fratelli. Un re che indica un altro modo di vivere, che contraddice il nostro “salvare noi stessi” per salvare gli altri o – meglio – per lasciarci salvare da Lui.
Siamo onesti, fratelli. Luca ci lascia con una domanda da porci seriamente: lo vogliamo davvero un Dio così? Un Dio debole che sta dalla parte dei deboli? È questo, davvero, il Dio che vorremmo? Di quale Dio vogliamo essere discepoli? Di quale re vogliamo essere sudditi?
Non diamo risposte affrettate, per favore: altrimenti ci tocca convertirci per davvero, vivere Cristo in tutti i sensi, e non “in comodato” come troppo spesso ci succede!!.

Ricordate?
“Con me regnare vuol dire servire, chi vuol essere il primo si faccia l'ultimo” e così via.
Anche Ponzio Pilato glielo chiese con un tono sorpreso: “Ma tu, sei proprio un re?” E si divertì a rivestirlo del mantello rosso, a mettergli in testa la corona (di spine!), a dargli uno scettro in mano (era una canna), a metterlo sul trono (era una croce insozzata).
È una storia che sappiamo a memoria… ma in fondo ci resta sempre una domanda: “ Che Re sei tu, se i grandi non ti degnano di uno sguardo, se l'odio, la guerra, la disonestà imperano, se la vita viene impedita con strani artifici, se non ci sono regole morali, se è preferita l'istintività alla razionalità?... “
Sei il Re dei diseredati, dei falliti, dei nullatenenti, dei destinati a morire, dei non emergenti, dei delusi, dei non-importanti, di quelli che non contano, di chi non sa dove sbattere la testa... sei contornato da una folla di sudditi, che però non tratti come tali, ma come amici, ai quali rivolgi i discorsi più confortanti: “Beati voi” e le tue promesse profetiche fanno vibrare l'intimità dei cuori: “Non temete, voi valete più dei passeri del cielo, dei fiori del campo. .. Non abbiate paura, vado a prepararvi un posto presso il Padre. .. “
Sei un Re immischiato nel presente e nel futuro, nelle cose terrene e nell'al di là, un Re a tutto campo, che è sconfitto con gli sconfitti, che sta con i ricchi per ricordare loro i fratelli poveri…
Un Re che non cavalca destrieri, ma cammina con i piedi per terra, che non cerca i consensi, che non tiene le distanze, che sa attendere, che si avvicina con rispetto in punta di piedi, bisbiglia, parla al cuore...
Un Re facilmente sopprimibile, evitabile, ma che continua ad incrociare il suo cammino con il nostro; invisibile, ma con il quale è bene che tutti ci incontriamo; che non si impone, ma le cui proposte hanno valore perenne; trascurabile, ma la cui essenzialità sconvolge le false sicurezze... Un Re che non dà fastidio alle potenze di questo mondo, perché il suo Regno non è di qui: un Regno che offre beatitudine a tutti, un Regno che sarà l'unica autentica vita per tutti.
Non serve che il Vangelo sia strombazzato superficialmente sulle piazze, ma occorre che fermenti nella nostra intimità, come quel pizzico di lievito che fermenta tutta la massa.
E allora, “Non uscire da te. Entra in te stesso, perché nell'uomo interiore abita la Verità” (Sant' Agostino).
Perché… “Il regno di Dio è dentro di voi...”

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